I Patti educativi di comunità stanno prendendo sempre più piede sul territorio italiano grazie a moltissime esperienze di successo e a un formidabile slancio partecipativo.

di Cristina Audagna

I Patti educativi di comunità sono stati introdotti con il Piano Scuola 2020-2021 e rappresentano uno strumento estremamente interessante per ampliare l’offerta educativa degli istituti scolastici statali valorizzando risorse già presenti localmente, siano esse pubbliche, associative o private.
L’obiettivo dei Patti è infatti quello di innescare una collaborazione continua tra scuole, istituzioni, enti non profit e mondo profit coinvolgendo tutta la comunità locale. L’obiettivo è aprire e condividere gli spazi scolastici con la città e le comunità.

L’avvio di nuovi percorsi partecipativi

Nei propositi del Ministero dell’Istruzione, nel momento del loro lancio, vi era la necessità di creare progressivamente una cooperazione efficace tra l’istituzione scolastica e il suo territorio, con le scuole che verranno sempre più sollecitate a ospitare nei propri spazi attività innovative e sperimentazioni già presenti a livello locale. Questo consente alla scuola di uscire dal suo ingessamento istituzionale proponendosi come punto di riferimento per tutti e dando avvio a un processo di policy making collettivo nel ristretto ambito di una piccola comunità, che diventa così una comunità educante. Rispetto a questo progetto è importante sottolineare il percorso gradualmente partecipativo e la possibilità di iniziare a realizzare piccole ma promettenti operazioni di coprogettazione con le realtà associative in loco.

La scuola esce dalle proprie mura

L’istituto dei “Patti educativi di comunità” non nasce certo dal nulla ma si colloca nel quadro assai più ampio dei “Patti di comunità” o dei “Patti di collaborazione”, attività già ben rodate negli anni passati. L’istituzione scolastica diventa così, in questo nuovo modello educativo, uno dei principali propulsori della rigenerazione della comunità riuscendo a rispondere ai bisogni della popolazione in una prospettiva di sussidiarietà orizzontale, cosa che permette ai cittadini di occuparsi dell’interesse generale. Senza dimenticare che il Patto educativo deve prevedere, oltre all’interesse generale, un uso non esclusivo del bene, vale a dire che il bene comune (in questo caso immateriale, l’educazione, e materiale, la scuola) non può essere affidato a un solo ente ma a un insieme di attori che collaborano tra loro definendo le attività di ciascuno e le responsabilità reciproche.

Patti educativi di comunità

Naturalmente la scuola con i suoi spazi è il cardine del patto educativo, ma non per questo deve esserne il primattore, dal momento che tutti i soggetti coinvolti, associazioni, enti pubblici e privati, hanno medesima forza contrattuale nella progettazione degli interventi educativi.

A chi si rivolge il Patto

I Patti educativi di comunità intendono quindi promuovere la compartecipazione di attori pubblici e privati intorno a uno o più progetti educativi che possono riguardare tutta la cittadinanza e non soltanto gli studenti. Si tratta quindi di progetti didattici e pedagogici legati alle specificità locali e alle opportunità già presenti. Nati come risposta immediata alla pandemia, sono stati spesso impiegati in ottica emergenziale, ma in prospettiva dovrebbero diventare uno strumento quotidiano per la scuola, tanto da trasformarle nel tempo in strumenti in grado di interpretare compiutamente le esigenze di un territorio. Proprio per questo alcuni osservatori richiedono un aiuto massiccio da parte dei fondi del Recovery Plan con la formulazione di linee di indirizzo nazionali.

Gli esempi più interessanti

Seppur recenti, i Patti educativi di comunità possono contare su sperimentazioni davvero significative che sono state realizzate in molte città italiane. Si parte dalla mestrina Reti ad Alta Intensità Educativa, un network che collega realtà pubbliche e associative che svolgono attività ludiche, sportive e di sostegno allo studio per la città di Venezia, per arrivare alla torinese Rete Italiana di cultura popolare che ha sviluppato interventi educativi in alcuni quartieri della periferia Nord di Torino coinvolgendo cinque scuole per contrastare la dispersione scolastica.
Ma anche il progetto sperimentale Chance di Reggio Emilia intende sostenere la partecipazione attiva attraverso una rete di attività di doposcuola, ricreative e socio-educative dedicate a ragazzi dai 6 ai 14 anni insieme ad associazioni e soggetti del Terzo settore. O ancora il Patto educativo di comunità realizzato a Napoli su proposta di Save The Children e Dedalus, che raccoglie ben 10 istituti scolastici, 17 realtà territoriali, l’Asl NA 1 centro, l’Assessorato alla scuola e all’istruzione del Comune di Napoli, per quattro quartieri e municipalità del capoluogo.
Un altro esempio di successo è, infine, quello nato dal Patto educativo di Giffoni Valle Piana che si è formalizzato nel progetto Edu@ction Valley, un ecosistema formativo che ha l’obiettivo di costruire alleanze educative sul territorio salernitano per realizzare una comunità educante diffusa e contrastare l’abbandono scolastico. Edu@ction conta attualmente ben 13 partner territoriali tra scuole, associazioni ed enti locali.