Come stanno i minori della “generazione Covid”? Durante la lunga pandemia sono stati osservatori silenziosi del mondo, privi di una narrazione pubblica che li riguardasse davvero. Oggi un’importante ricerca voluta dall’Istituto superiore di sanità e dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza fotografa una condizione giovanile fortemente provata e stanca. E soprattutto delusa dagli adulti.

di Antonello Raciti

A due anni dallo scoppio della pandemia da Coronavirus, arriva la prima ricerca a carattere scientifico e su scala nazionale che fornisce un quadro dettagliato delle conseguenze dell’emergenza sanitaria su bambini e ragazzi. Diffuso dall’Istituto superiore di sanità, dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, lo studio dal titolo Pandemia, neurosviluppo e salute mentale di bambini e ragazzi, si può considerare come un vero e proprio grido d’allarme perché conferma scientificamente (e quindi senza scampo) quello che si temeva o si supponeva in maniera solo intuitiva. E cioè l’alto grado di sofferenza patita dalla popolazione giovanile nel lungo periodo di restrizioni legate alla fase pandemica acuta e a quelle successive. Un periodo in cui i diritti al gioco e alla socializzazione dei più giovani sono stati compressi e posti in secondo piano, trovando poco spazio nei provvedimenti emergenziali.

La sofferenza di un mondo chiuso

In un contesto in cui i riti sociali più comuni e le normali abitudini di relazione sono andate a gambe all’aria, la generazione dei più piccoli e dei ragazzi è stata colpita duramente, purtroppo in maniera silenziosa. Eppure nel corso dei mesi sono stati numerosi i segnali pervenuti dai presidi territoriali e ospedalieri di accoglienza e cura delle persone di minore età: pronti soccorso pediatrici, ambulatori, servizi sociali, servizi territoriali e ospedalieri di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza hanno registrato un incremento dei casi di disagio, di autolesionismo, di disturbi del comportamento alimentare e del sonno. Ma anche: dipendenze da alcol o droghe, senso di solitudine e ritiro sociale.
Ecco perché l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, nell’ambito dei propri compiti istituzionali, ha voluto promuovere una ricerca sul neurosviluppo e sulla salute mentale dei bambini e degli adolescenti ai tempi del Covid-19. L’intento principale è comprendere, quantificare e qualificare il fenomeno, nella sua estensione e profondità, per poi trovare strategie efficaci a supporto dei minori.

Una ricerca complessa per un fenomeno in divenire

In occasione della pubblicazione dello studio è la stessa Garante per l’infanzia e l’adolescenza, Carla Garlatti, a esprimersi senza giri di parole sulla gravità della situazione: «I problemi del neurosviluppo e della salute mentale di bambini e ragazzi manifestatisi durante la pandemia rischiano di diventare cronici e diffondersi su larga scala». Del resto più di novanta esperti tra rappresentanti del mondo scientifico, accademico, psicologi e assistenti sociali, consultati nell’analisi attraverso interviste o focus group omo-professionali, hanno portato alla luce precise emergenze legate ai più piccoli.
Questa ricerca dunque si caratterizza, per metodologia e obiettivi, come il primo studio quali-quantitativo condotto su una popolazione statistica ampia, suddivisa in sottotarget omogenei, e su una gittata temporale più estesa rispetto a quella considerata da lavori precedenti.
In particolare si è voluto approfondire l’impatto della pandemia su tre sottogruppi specifici: innanzitutto su coloro che prima della pandemia non soffrivano di problemi di salute mentale, poi su bambini e ragazzi con disturbi neuropsichici o vulnerabilità preesistenti e infine su bambini e ragazzi con disabilità o disturbi neuropsichici gravi che hanno subìto l’interruzione o il parziale funzionamento delle attività e degli interventi terapeutici in fase pandemica.
La ricerca mira inoltre a verificare l’incidenza della pandemia sul neurosviluppo e sulla salute mentale dei bambini e dei ragazzi nelle diverse aree del Paese, analizzando quelle in cui le restrizioni e le erogazioni a singhiozzo delle attività scolastiche, cliniche e di supporto sono state più consistenti.
Si è voluto anche provare una eventuale relazione con la maggiore o minore presenza nei territori dei servizi di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, di riabilitazione dell’età evolutiva, quelli consultoriali, psicologici, socioassistenziali, educativi e legati alle professioni di aiuto in favore delle persone di minore età in generale, nonché alla loro capacità di riorganizzarsi per rispondere all’emergenza.

Arrivederci ragazzi

Infine, come anticipato, l’indagine è stata realizzata tenendo conto di ben quattro fasi temporali: quella coincidente con il totale lockdown, quella relativa all’estate 2020, quella che fa riferimento alla seconda ondata di Covid-19 e infine il periodo compreso tra gennaio e novembre 2021 (momento di svolgimento della prima fase dell’indagine).

Cibo, stress e poca concentrazione

Questo poderoso lavoro di raccolta e analisi dei dati, svolto incrociando variabili complesse, ha prodotto un report preoccupante del disagio provato dai giovani durante le varie fasi della pandemia. In cima all’emergenza si piazzano i disturbi legati a un’eccessiva attenzione verso il cibo, subito seguiti dai tentati suicidi, dalle alterazioni del ritmo sonno-veglia e dal ritiro sociale. In ambito educativo sono stati riscontrati disturbi dell’apprendimento, dell’attenzione e del linguaggio, disturbi della condotta e della regolazione cognitiva, metacognitiva ed emotiva. Oltre alle difficoltà di concentrazione, gli insegnanti hanno notato ridotte abilità di prescrittura e precalcolo e una generale retrocessione delle competenze precedentemente acquisite.
Inoltre è stata rilevata l’insorgenza di fobie scolastiche, il rifiuto a tornare a scuola per la didattica in presenza fino all’instaurarsi di attacchi di panico. Oltre alla paura del contagio, è emerso in linea di massima un forte stato di frustrazione e incertezza rispetto al futuro con, non infrequentemente, casi di abbandono scolastico.

La pericolosa deriva delle dipendenze

È stato poi riportato un aumento delle richieste d’aiuto per l’uso di sostanze psicoattive, cannabinoidi e alcool. La ricerca menziona studi congiunti che evidenziano anche un abbassamento dell’età nel consumo di droghe pesanti (eroina e cocaina) sotto i 14 anni e l’uso di sostanze sintetiche o di colla, a partire dagli 8 anni. L’aumento generale delle dipendenze viene ricondotto dagli esperti a due principali fattori: da una parte la crescita effettiva dei consumi, dall’altra l’incremento di segnalazioni da parte dei genitori che si sono trovati fisicamente più vicini ai figli e hanno così avuto modo di rendersi maggiormente conto dei loro problemi.

Impennata degli Sos

Nella prima fase pandemica, quella relativa al lockdown totale, è stato notato un “congelamento” delle richieste di aiuto, mentre dall’estate del 2020 in poi si è assistito a un innalzamento dei casi di sofferenza psichica e di bisogno di supporto. I professionisti hanno riportato che durante la pandemia, soprattutto a partire dalla seconda ondata, c’è stato un incremento degli accessi al pronto soccorso e/o richieste di ospedalizzazione per esordio di patologie di natura neuropsichiatrica o aggravamento di situazioni pregresse in soggetti già conosciuti dai servizi. Secondo quanto registrato dagli esperti, le richieste di supporto sono state avanzate dai genitori (soprattutto dalle mamme), ma anche dagli adolescenti stessi. In generale i professionisti concordano sul fatto che si siano verificati numerosi casi di slatentizzazione e peggioramento di disturbi preesistenti in bambini e ragazzi già in carico, nonché princìpi di nuovi disturbi, sia in soggetti che non presentavano alcuna diagnosi, ma soprattutto in soggetti in condizioni di vulnerabilità connessa alla condizione familiare, ambientale, socioculturale ed economica.

Preadolescenti e adolescenti, i grandi dimenticati

È stato anche sottolineato come l’esordio di disturbi in pandemia o il loro peggioramento varino in funzione dell’età. I soggetti più implicati sono i preadolescenti e gli adolescenti, in special modo coloro che si trovano nelle fasi di transizione scolastica e quindi di cambiamento dell’ambiente relazionale di riferimento, cioè i ragazzi che si apprestano a iniziare la prima classe della scuola secondaria di primo e secondo grado e il primo anno di università. Hanno manifestato disagi ancora più severi i preadolescenti e adolescenti con disabilità, quelli provenienti da situazioni di svantaggio socioculturale ed economico e quelli provenienti da percorsi migratori che hanno trovato difficoltà nella gestione dell’isolamento e della quarantena nelle strutture di accoglienza.
Gli esperti spiegano inoltre come i giovani abbiano percepito un mancato riconoscimento del loro contributo. Non hanno sentito riconosciuta cioè la fatica della rinuncia alla scuola in presenza e la loro partecipazione allo sforzo collettivo per la sicurezza della comunità. Gli adulti sono stati visti come stanchi e fragili, talmente preoccupati da quanto stava succedendo, della portata degli impatti generati dalla pandemia e delle misure di contenimento, da prestare meno attenzione al mondo di bambini e ragazzi.

La povertà come ulteriore fattore di rischio

La ricerca sembra convalidare l’ipotesi di un generale peggioramento delle condizioni di salute mentale di bambini e ragazzi, sia in riferimento a nuovi esordi, sia per quanto riguarda l’emersione e il peggioramento di situazioni croniche. Accanto a questa lettura, un altro dato sembra palese: la correlazione tra l’insorgenza di disturbi e alcune condizioni di vulnerabilità e precarietà socioculturale ed economica, a conferma del fatto che un ambiente connotato da povertà educativa e precarietà economica non consenta di attivare elementi protettivi in grado di contenere l’aumento dei fattori di rischio.
Di contro la pandemia sembra aver alleggerito lo stigma e conseguentemente legittimato una maggiore possibilità di chiedere aiuto e una maggiore consapevolezza della presenza di disagio. Occorre, tuttavia, tenere presente che non tutte le richieste di aiuto sono poi sfociate in percorsi di accompagnamento e presa in carico, dato che le risposte sono state assai disomogenee. La pandemia ha, quindi, impattato negativamente sul neurosviluppo e sulla salute mentale di bambini e ragazzi su almeno due versanti: nuova insorgenza/peggioramento di condizioni di disagio della sfera psichica e assenza di risposte adeguate. Bambini, ragazzi e famiglie si sono trovati spesso costretti a rivolgersi ai privati con impegni economici rilevanti e difficilmente sostenibili, che hanno aggravato le disuguaglianze.

Medicina, telemedicina e intervento sul territorio: c’è ancora tanto da fare

In generale, in tutti i focus group, gli intervistati hanno riportato che le criticità nei servizi, preesistenti rispetto alla pandemia, si sono molto aggravate in fase pandemica. Pertanto, in relazione all’aumento della domanda, si evidenzia una risposta da parte dei servizi prevalentemente inadeguata, spesso disorganizzata e improvvisata. D’altra parte, è stato possibile rilevare esperienze innovative e positive. È stata evidenziata una soluzione peculiare attivata durante la pandemia: la telemedicina. Durante il periodo pandemico i ragazzi e le famiglie che afferivano ai servizi hanno sperimentato difficoltà a individuarli e a contattare i professionisti di cui avevano necessità a causa di un’insufficiente comunicazione delle nuove modalità di accesso modificate per la pandemia o per la chiusura prolungata di alcuni servizi. Di conseguenza i bisogni non sono stati accolti e spesso le famiglie, almeno quelle le cui condizioni socioeconomiche lo consentono, si sono rivolte e tuttora si rivolgono a servizi e operatori privati. La lettura degli intervistati è che la pandemia e le misure per contenerla abbiano creato una polarizzazione tra chi è rimasto o ha potuto restare agganciato al sistema dei servizi, beneficiando degli interventi di sostegno messi in campo, e chi, al contrario, si è allontanato o non ha avuto modo di accedervi, trovandosi a fronteggiare in solitudine condizioni di vita diventate ancora più critiche e che hanno determinato un ulteriore aumentato rischio per il neurosviluppo e la salute mentale.

Una vera “emergenza salute mentale”

La pandemia ha provocato quella che i professionisti interpellati dall’équipe di ricerca hanno definito una vera e propria “emergenza salute mentale”. Il lockdown ha fatto scoprire il potenziale della telemedicina applicata alla salute mentale, ma occorre investire rapidamente nella formazione degli operatori e in tecnologie specifiche per assistere bambini e ragazzi. Ma, innanzitutto, c’è la necessità che le azioni di programmazione, prevenzione e cura superino la frammentarietà regionale e locale. La fase postpandemica può anzi essere un’occasione per migliorare il sistema. «Vanno previste», conclude Garlatti, «adeguate risorse per i servizi, fornite risposte specifiche in base all’età, va garantito un numero di posti letto in reparti dedicati ai minorenni e istituiti servizi di psicologia scolastica in modo da attivare un collegamento tra scuola e territorio. È altrettanto importante operare un cambiamento culturale intervenendo sul ruolo educativo e sulla promozione del dialogo intergenerazionale».