Nel recente saggio di Rossano Astremo le perfette consonanze tra i nuclei tematici della narrativa contemporanea ad argomento giovanile e la percezione che i clinici hanno del nuovo adolescente.

di Antonello Raciti

È difficile esaminare l’evoluzione dell’adolescenza nel corso della storia contemporanea con la lente distorcente della letteratura senza correre il rischio di equivocare la finzione per realtà. Ma al tempo stesso risulta piuttosto complicato colmare le grandi lacune della trattazione critico-letteraria relative a questa decisiva età della vita. Ci ha provato con successo Rossano Astremo, autore, animatore letterario e insegnante salentino che fa parte dell’associazione Piccoli Maestri, e che da tempo cerca di contagiare l’amore per la lettura nelle scuole e presso il pubblico più giovane. Con il suo ultimo lavoro L’identità dell’adolescente nella narrativa italiana del nuovo millennio (Milella Edizioni) ha osservato con attenzione il percorso carsico che la narrativa italiana sull’adolescenza ha compiuto nell’ultimo secolo soffermandosi con maggiore impegno sugli ultimi due decenni, caratterizzati da una serie di massicci cambiamenti sia in ambito sociale, umano e, soprattutto, tecnologico. Ma andiamo con ordine partendo dall’inizio della storia, ossia dal romanzo di formazione tra Ottocento e Novecento.

Dal romanzo di formazione al teatro di guerra

A partire dalle opere di Goethe la critica letteraria ha sempre espresso un certo interesse per le narrazioni sull’identità giovanile nella convinzione che in queste forme letterarie ci fosse una perfetta consonanza trasformativa tra gioventù e storia sociale, e che quindi le vicende dei giovani protagonisti rappresentassero un segno distintivo della modernità oltre che del dinamismo della cultura occidentale. È infatti nel corso dell’Ottocento che si affrescano i “caratteri” di personaggi indimenticabili quali Willlelm Meister, Evgenij Onegin, Julien Sorel, Frederic Moreau, Jane Eyre, Renzo Tramaglino o David Copperfield, tutti esempi di una gioventù inquieta che scaturisce dalla crisi delle società tradizionali, con il loro affascinante carico di speranze e illusioni. Un momento d’oro per la letteratura europea, il cui campo narrativo diventò il teatro di tante sperimentazioni e luogo d’incontro di discipline che spaziano dalla storia alla filosofia, passando per la sociologia, la psicologia. Il tutto attraversando l’ingresso di tematiche dense di emotività che intrecciavano dinamismo, pericoli, limiti, grande irrequietezza e forte senso della fine. Segni distintivi di un mondo che proiettava il proprio senso evolutivo e le proprie attese nel futuro. E che tuttavia si interruppe drasticamente ai primi del Novecento con l’ingresso sulla scena di un immenso, drammatico rito di passaggio collettivo, la guerra. La tragica mattanza che ucciderà ogni speranza.

Un Novecento di riflessione e sofferenza intima

Ed è all’opposto una gioventù traumatizzata quella che emerge dal primo conflitto mondiale e che si esprime ora nelle forme della tragedia e del turbamento, espressi magistralmente dai personaggi usciti dalla penna di Thomas Mann, Robert Musil, James Joyce e Franz Kafka, tutti esempi di una soggettività antieroica e assai terrena che si contrappone alla saggezza degli adulti e si ripiega su se stessa, rivolgendo il proprio sguardo verso l’adolescenza, la preadolescenza e anche più in profondità. Così, alla narrazione della gioventù eroica intesa come processo evolutivo che porta all’età adulta, si sostituisce il racconto del fragile periodo adolescenziale che vede i giovani protagonisti di un confronto e scontro con le generazioni che li hanno preceduti. Ragazzi pieni di tormento, di angoscia esistenziale.
Paesi protagonisti di questa scena letteraria sono principalmente la Germania, la Francia e l’Inghilterra, mentre l’Italia sembra pagare lo scotto di un ritardo storico nel processo di modernizzazione che si ripercuote inevitabilmente anche in ambito narrativo, benché la critica non sia unanimemente concorde sull’immaturità della letteratura italiana in tema di adolescenza in questo scorcio di secolo. Da più voci si sostiene infatti che autori come Alberto Moravia, Elsa Morante, Natalia Ginzburg, Lalla Romano, Pier Paolo Pasolini, Lidia Ravera, Marco Lombardo Radice ed Enrico Palandri abbiano prodotto, tra la fine del secondo conflitto e il 1978, romanzi e narrazioni che hanno contribuito sensibilmente alla vitalità del romanzo italiano di formazione del Novecento.

La vitalità giovanile degli anni Ottanta e Novanta

Ma è all’inizio degli anni Ottanta che si comincia a registrare in letteratura una vera e propria attenzione al percorso adolescenziale con l’avvento di una narrativa più fresca, dedicata e distintiva. Dopo un decennio di ubriacatura ideologica e di critica al romanzo borghese, ora i giovani sono meno politicizzati e assai più attenti all’intensità emotiva delle storie, incuriositi dalle nuove tendenze in fatto di moda ed evasione, dalle fruizioni collettive e dalle peripezie personali, ma anche dai nuovi consumi e dal desiderio di sperimentare esperienze emozionanti. Insomma, si iniziano a pubblicare storie vere di giovani che piacciono a un pubblico di giovani.

Adolescenti e letteratura

Alfiere di questo fenomeno è Pier Vittorio Tondelli, prolifico autore e animatore letterario che lancerà molto presto iniziative editoriali destinate a segnare la storia della narrativa italiana grazie a celebri raccolte antologiche di autori under 25, pubblicate tra il 1986 e il 1990. Si tratta di un complesso di opere caratterizzate da un alto tasso di autobiografismo e autoreferenzialità. Sostanzialmente immature sotto il profilo autoriale, ciononostante rappresentano un insieme di narrazioni che segnano un’interessante svolta nella letteratura italiana per un rinnovato e partecipato sguardo sulla condizione giovanile. E soprattutto per la nascita di un movimento che assumerà negli anni diverse forme e appellativi quali “scrittori dell’eccesso”, “narrative invaders”, “tondelliani”, “pulp” e “cannibali”. Sono storie minimali e racconti scritti per la maggior parte da autori coetanei ai propri lettori, nei quali si intrecciano atrocità quotidiane, adolescenze difficili, complicate, feroci, immerse in contesti sociali in cui fortissime sono le sollecitazioni provenienti dal cinema, dalla tv, dai fumetti, dalla multimedialità e dalla letteratura anglosassone.

La condizione giovanile negli anni Duemila

Nella lunga panoramica dedicata alla “gioventù letteraria” si giunge così al nuovo millennio, periodo ricchissimo di suggestioni per il quale però non sono stati ancora realizzati studi specifici per comprendere in quale modo i giovani sono stati rappresentati dai loro autori. E proprio in questo vuoto critico si inserisce il saggio di Astremo, che cerca di trovare consonanze e parallelismi tra le osservazioni clinico-terapeutiche degli esperti di adolescenza e alcuni topics distintivi della letteratura contemporanea.
Ciò che accomuna molte di queste narrazioni sono la difficile relazione tra genitori e figli e la crisi del modello familiare tradizionale. Nelle narrazioni degli scrittori italiani degli ultimi due decenni i ragazzi sono sempre più immersi in una dimensione solipsistica e narcisistica, che è poi la caratteristica di principale novità identificata da molti studiosi e terapeuti. Ma contrariamente alle analisi di questi esperti, il tratto narcisistico viene spesso rappresentato in un’ottica ribaltata e negativa, dove alla spavalderia eroica del Narciso si sostituisce la rappresentazione della sua disfatta, della sua fragilità.
Frequenti sono poi le ambientazioni famigliari in cui è profondo il disagio dovuto all’assenza di una o di entrambe le figure genitoriali. E diverse sono le storie in cui la figura materna è assente e il padre deve fare i conti, riprendendo un concetto caro a Winnicott, con la bonaccia dell’età adolescenziale, cioè il periodo in cui l’adolescente non ha un’identità stabile, non ha chiaro quale sarà il proprio futuro e non può ancora identificarsi con la figura genitoriale. Può solo aspettare senza capire ciò che accade e senza aver ancora iniziato a costruire una propria identità coerente. È in questa fase che emergono disturbi di ogni tipo, dalle nevrosi ai disturbi affettivi fino alla psicosi vera e propria. Come puntualmente ci raccontano le narrazioni degli anni Duemila.

Il modello familiare, il corpo, internet e i social

È evidente, in tante opere di inizio millennio, la forte crisi del modello famigliare tradizionale e la perdita di autorità da parte delle figure genitoriali. La loro incapacità di gestire il malessere dei figli è costante e, anche quando i genitori sono vivi e presenti, abdicano al proprio ruolo educativo. Tra famiglie assenti o disfunzionali, emergono ritratti di ragazzi e ragazze fragili, privi di modelli familiari autorevoli, spaventati di non essere accettati dal mondo, incapaci di mostrarsi per quello che sono e di rivelare ciò che si prova per gli altri. Lo stesso corpo in divenire e l’osservazione attenta dei corpi altrui sono alla base di molti degli episodi narrativi esaminati. E in un’epoca di Narcisi un corpo che non può essere vincente e ammirato genera tanta sofferenza, vergogna e desiderio di sparire.
Un elemento quasi assente in questo scenario, rispetto alla rappresentazione che gli psicologi fanno del nuovo adolescente, è l’idea della chiusura in un mondo virtuale. L’universo di internet, con i suoi abissi social, non è quasi mai presente nel mondo dei giovani raccontati dai narratori italiani presi in esame. O almeno non lo è ancora per questa prima tornata di osservazione di autori contemporanei. Ma molto probabilmente lo sarà nei prossimi anni, come già si comincia a intravedere in alcune opere di recentissima pubblicazione. C’è quindi, al momento, ancora un certo dislivello tra psicologi e narratori sul tema della digitalizzazione e sul conseguente aumento di complessità e problematicità delle relazioni. La rivoluzione digitale ha creato infatti nuovi luoghi dell’espressione in cui gli adolescenti sperimentano pompose e narcisistiche possibilità di realizzazione ma al contempo trovano riparo nei momenti di crisi, dando vita a parentesi social di vero e proprio autoricovero. Forme di rifugio interessanti di cui leggeremo quasi sicuramente nei prossimi anni e che, si spera, saranno presto oggetto di altrettanto buone analisi critico-letterarie.