Ansia, aggressività, effetto limbo. È così che il Coronavirus colpisce i giovani. E come se non bastasse, tra gli effetti collaterali della pandemia c’è stata anche una drastica riduzione di tutti i servizi di Salute mentale. Vediamo perché.

di Tony La Greca

Improvvisamente gli italiani, nel mezzo dell’epidemia del Coronavirus, hanno scoperto di essere fragili. Non solo a rischio concreto di ammalarsi per un virus respiratorio misconosciuto, ma anche profondamente disorientati per lo stravolgimento dei propri punti di riferimento quotidiani. Dopo un anno di reclusione e di forti limitazioni della libertà personale non molto è cambiato. Ancora oggi non siamo in grado di fissare una deadline, uno spartiacque preciso tra il tempo in cui dobbiamo “continuare a resistere” e quello in cui “possiamo finalmente cedere”. In altre parole non sappiamo per quanto ancora avremo a che fare con il virus e con le costrizioni a esso legate. Un futuro incerto, dunque. A pagare il prezzo maggiore sono soprattutto i più giovani, bambini e adolescenti, a cui il Covid-19 ha fatto letteralmente crollare ritmi di vita e di relazioni. Costringendoli a creare nuove routine, ma con un continuo senso d’insicurezza per quello che sarà.

Giovani di tutto il mondo intrappolati nella palude dell’incertezza

Ovviamente questa situazione non è riferibile ai soli italiani. Fatte le debite proporzioni rispetto ai diversi contesti culturali e sociali, si può dire che lo straniamento causato dalla pandemia coinvolge un po’ tutte le popolazioni infantili e giovanili su scala mondiale. Gli effetti psicologici della pandemia da coronavirus si rintracciano in maniera incredibilmente costante sia che si guardi al panorama americano sia che si osservi l’ambiente europeo o italiano. Perché, oltre alla pervasiva incertezza sul domani, ovunque è stata “sospesa” la vita in un indefinito limbo, ovunque sono stati propalati messaggi contrastanti sulla gestione e la durata dell’epidemia, ovunque si è imposta la necessità dell’isolamento e la chiusura delle scuole. Infine, ad aggravare il quadro c’è un ultimo aspetto non trascurabile: l’uso di coperture per il viso che sembrano rubare l’identità. In definitiva, proprio tutti quei sistemi e dispositivi che difendono dalla malattia, espongono paradossalmente a un altro tipo di problema.

L’effetto limbo

La sensazione di sfinimento dovuta a uno stress prolungato costituisce una reazione naturale di fronte a una situazione di cui non si intravede la fine. Gli esperti dell’Oms chiamano questa condizione “pandemic fatigue”. E nei momenti più bui dell’emergenza hanno suggerito alle categorie maggiormente coinvolte (pazienti, operatori sanitari e decisori) di concentrarsi solo sulle questioni più urgenti. Quindi sul “qui e ora”, proprio per contrastare l’immobilismo derivante dalla spossatezza. Seguire questo consiglio, originariamente diretto a categorie specifiche, gioverebbe anche a bambini e soprattutto ai ragazzi. Anche se in effetti nel loro caso è più complicato metterlo in pratica. Questo perché i compiti a cui devono dedicarsi i giovani sono meno concreti e puntuali. E perché il loro malessere, causato dalla sensazione di perdita di controllo sulla propria vita, è meno misurabile e quindi difficilmente riconoscibile. Se non quando è già esploso.

Il pauroso boom dell’autolesionismo

Oggi sappiamo però che tra i più esposti all’ansia e alla depressione collegata alla pandemia ci sono i giovani. Non è un caso che da diversi mesi il Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi italiani (Cnop) abbia lanciato l’allarme: nei ragazzi si sta sviluppando un’onda lunga di problemi psicologici che sfociano non di rado in atti di autolesionismo. Un problema gravissimo segnalato da istituzioni ospedaliere come l’eccellenza pediatrica Bambino Gesù di Roma. Proprio qui, con l’inizio della seconda ondata, si è assistito a un notevole rialzo degli accessi al pronto soccorso con disturbo psichiatrico. E, dato davvero preoccupante, nel 90% dei casi sono giovani tra i 12 e i 18 anni che hanno cercato di togliersi la vita.

Il fatto è che la pandemia sta facendo aumentare lo stress e lo stress facilita la comparsa di una serie di disturbi. Principalmente problemi d’ansia, disturbi del sonno e depressione. Aumentano per una serie di fattori: prima di tutto, c’è la paura di ammalarsi che i bambini e i ragazzi respirano dentro casa. Poi c’è l’assenza del gruppo dei coetanei che fa da ammortizzatore specialmente per gli adolescenti. Separati dai compagni e senza la scuola in presenza, spesso i giovani hanno trascorso le ore a chattare, giocare ai videogames, ma anche solo a fissare il soffitto. È aumentata, dicono gli psicologi, anche l’irritabilità che in alcuni casi si è tradotta in aggressività verso i genitori e verso se stessi.

Spiacenti, siamo chiusi

In uno studio la Società Italiana di Psichiatria ha messo nero su bianco un fenomeno collaterale della prima ondata della pandemia. Il Covid-19 ha ridotto le attività dei Servizi di Salute mentale nel nostro Paese per cui il 20% dei centri ambulatoriali è rimasto chiuso e il 25% ha ridotto gli orari di accesso. Tutte le attività hanno avuto una significativa diminuzione, come i consulti psichiatrici ospedalieri (-30%), le psicoterapie individuali (-60%), le psicoterapie di gruppo e gli interventi psicosociali (-90/95%), il monitoraggio di casi in strutture residenziali (-40%) e degli autori di reato affetti da disturbi mentali affidati dai tribunali ai Centri di salute mentale (-45%). Si è registrata, come nelle altre discipline mediche, una riduzione complessiva dei ricoveri (-87%). In parole povere, le famiglie che hanno un problema non sanno dove andare, il problema (e la sua soluzione) ricade sulle sole forze private.

Orfani della scuola

Ma è l’assenza della scuola ad aver pesato maggiormente sugli adolescenti e sulle loro famiglie.  Soprattutto perché la scuola non è solo didattica, né un semplice luogo di preparazione al mondo del lavoro. Certo, all’interno della scuola si cresce culturalmente, ma non solo. Fondamentalmente a scuola ci si afferma. Ci si riscatta, anche. Chiudendo la scuola, ai ragazzi è stato chiesto di prodursi in uno sforzo enorme: allontanarsi dai propri compagni, dalla propria routine, da tutto quello che prima costituiva il loro universo. Chi ha gli strumenti giusti, risorse economiche e famiglie solide alle spalle, può uscire dalle secche di questa situazione. Ma per chi cresce in contesti di emarginazione sociale, magari con genitori dai rapporti conflittuali, la permanenza forzata in casa risulta davvero problematica. Non stupiscono quindi gli appuntamenti in piazza per inscenare risse o atti di ribellione vandalica en plain air.

Qualche consiglio di buon senso

L’American Academy of Pediatrics ha elaborato alcune linee guida per la salute emotiva e comportamentale di bambini e adolescenti durante la pandemia Covid-19. Il documento si è arricchito nei mesi di importanti aggiornamenti, sintetizzabili in un unico invito di fondo rivolto a tutte le famiglie. E cioè mai dare per scontata la tenuta emotiva dei più giovani, ma inserirla in un quadro di salute complessivo.
Un invito che, in maniera un po’ tautologica, coincide con la definizione stessa di salute fornita dall’Organizzazione mondiale della sanità. Un totale stato di benessere fisico, mentale e sociale e, non semplicemente, di assenza di malattie o infermità. Ma nella pratica? Per ovviare al senso di perdita provocato per esempio dall’interruzione della scuola, gli esperti suggeriscono ai genitori di non trascurare l’apprendimento a distanza. Esso rappresenta un cambiamento davvero complesso per gli alunni e che può influire sul rapporto genitore-figlio oltre che su quello con gli insegnanti e i coetanei.

Conclusioni social

Insomma, la famiglia è ancora il punto di riferimento anche per i ragazzi più grandi. E, visto che l’isolamento sociale è risultato devastante soprattutto per gli adolescenti, gli adulti dovrebbero trovare percorsi sicuri di socializzazione per loro, perché no, anche sui social media.