Recovery Plan e salute mentale non sembrano andare molto d’accordo. Tra l’assenza di interventi mirati al disagio psichico e un progressivo arretramento delle politiche di sostegno all’assistenza domiciliare, il rischio è quello di abbandonare le famiglie a se stesse obbligandole a rivolgersi al privato.

di Tony La Greca

La crisi pandemica ha fatto emergere le lacune dei sistemi sociosanitari e assistenziali ma ha anche generato scenari imprevisti che obbligano a reinterpretare tutto il complesso di servizi nell’area della salute mentale. Se prima erano soltanto accennate e sottotraccia, ora le disparità territoriali nell’erogazione dei servizi sono esplose in tutta la loro evidenza, soprattutto per quanto riguarda la prevenzione e l’assistenza. Senza parlare dell’inadeguata integrazione tra servizi territoriali e servizi sociali.
Molti degli interventi previsti nella Missione 6 del Piano nazionale di ripresa e resilienza dovrebbero mitigare quest’emergenza attraverso iniziative innovative, come la creazione di Case della Comunità e degli Ospedali di Comunità, il rafforzamento delle Reti di prossimità, e soprattutto la definizione di standard qualitativi, organizzativi e tecnologici omogenei a livello nazionale. Tutte iniziative volte a rafforzare l’intervento sanitario in senso lato, ma che non citano mai specifici interventi volti a prevenire e contenere il disagio psichico. Dimostrando, ancora una volta, che viviamo in un Paese che non ha molto a cuore la salute mentale.

Mancano risposte alle famiglie

In un momento in cui la pandemia ha fatto aumentare il bisogno di socializzazione e di integrazione, i servizi dedicati alla prevenzione, all’assistenza e al supporto psicologico dovrebbero essere potenziati con un presidio maggiore sui territori. Invece si continua a registrare, soprattutto nei centri più piccoli e periferici, una mancanza di dialogo con i servizi sociali comunali, che non possono farsi carico di pazienti psichiatrici dati gli organici ridotti all’osso e le pochissime risorse messe a disposizione delle amministrazioni. Così i soggetti psichiatrici sono spesso dimenticati, lasciati alla mercé dei loro disturbi psichici, con un’assenza cronica dei servizi proprio nei periodi festivi, che sono ovviamente quelli più pericolosi. Oppure ci si accorge di loro solo quando c’è il fattaccio di sangue in famiglia, come gli ultimi fatti di cronaca hanno dimostrato.

Pazzi vostri

Insomma, il risultato è che per l’insufficienza delle strutture pubbliche questi pazienti gravano quasi esclusivamente sulle famiglie, sempre più provate e abbandonate. Specie in tempi di pandemia.

L’allarme viene dai dati

Il timore è decisamente forte a leggere i dati del Rapporto sulla Salute Mentale del Ministero della Salute relativo all’anno 2019, l’ultimo disponibile, pubblicato a marzo 2021. La fotografia, per quanto già vecchia, è molto interessante perché mostra importanti criticità che già si manifestavano in tutta la loro forza ben prima dell’esplosione dell’emergenza sanitaria. E che il Covid ha sicuramente esacerbato.
Nell’anno che ha preceduto la pandemia, l’assistenza psichiatrica si caratterizzava infatti per una progressiva contrazione della spesa sanitaria per residente, passando dai 78,1 euro di costo medio annuo del 2018 ai 65,4 euro del 2019. Guardando poi al contributo del finanziamento sostenuto dal Sistema sanitario nazionale, il costo dell’assistenza psichiatrica era passata dal 3,5% nel 2018 al 2,9% del 2019. Da osservare che l’obiettivo assunto dai Presidenti delle Regioni nel 2001 era di raggiungere il 5%.
Sul fronte delle strutture, il rapporto del ministero evidenziava la diminuzione del numero dei Dipartimenti di Salute Mentale, che passavano da 143 a 137, accompagnata dalla contrazione dei Spdc (Servizi psichiatrici diagnosi e cura), scesi di 6 unità, delle strutture residenziali (-13), di quelle semiresidenziali (-7). Ma il dato più inquietante è quello relativo alla carenza di operatori e alla inadeguatezza della risposta del sistema territoriale, che fa sempre più ricorso ai Pronto Soccorso come struttura alla quale chiedere le prime cure psichiatriche. Il numero complessivo di accessi al Pronto Soccorso per i gruppi diagnostici psichiatrici considerati a livello nazionale ammontava infatti a 648.408, in crescita di 24mila unità rispetto all’anno precedente. Il maggiore numero di accessi si concentrava nelle classi di età 25-44 e 45-64 con diagnosi relative a sindromi nevrotiche e somatoformi.
Ma l’isolamento sociale provocato dalla pandemia ha sicuramente complicato le cose, incrementando notevolmente quel dato e riempendo i Pronto Soccorso anche di moltissimi adolescenti disturbati. Con esiti allarmanti, come rivela un recente report della Società di Neuropsichiatria infantile, per il quale gli accessi per i tentativi di suicidio e autolesionismo tra i ragazzi sono aumentati del 30%.

Tutto sulle spalle delle famiglie?

È evidente che il sistema sta cedendo da tempo e che il ruolo delle famiglie sta diventando un punto d’appoggio sempre più determinante per la tutela del paziente psichiatrico, facendo però compiere molti passi indietro a tutto il sistema. Per le famiglie colpite dal dramma della malattia mentale non resta altro che rivolgersi a strutture private. Oppure fare da sé, con i rischi di recidive, di isolamento sociale e di stigmatizzazione che tutto questo comporta. E soprattutto con i pericoli insiti nelle difficoltà di comunicazione intrafamiliare, per l’elevata conflittualità in casa e per la frequente presenza di altre patologie psichiatriche tra i membri del medesimo nucleo familiare.
Soprattutto a livello giovanile, come ha messo in luce l’ultimo congresso del Sinpia, la Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, la situazione è ormai gravissima, con un raddoppio dei pazienti seguiti dai servizi di salute mentale negli ultimi 10 anni. Un aumento enorme, che non si è verificato in nessun altro ambito della medicina. E tutto questo a fronte di risorse e mezzi in costante diminuzione.
La pandemia ha messo soltanto in luce i tanti elementi di criticità che già esistevano da tempo, esasperandone la portata. È ormai evidente che le malattie non possano essere gestite solo dai familiari per la mancanza di assistenza da parte delle istituzioni. E l’asimmetria tra il bisogno reale dei territori e la scarsità delle risposte messe in atto da parte del servizio pubblico è sempre più drammatica, lasciando sul tavolo molte questioni aperte.