Come abbiamo smesso di vivere il reale
recensito da Antonello Raciti
Spesso criticato per l’uso spregiudicato dei testi di celebri autori quali Hegel, Heidegger, Barthes, Deleuze o Focault, il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han è tuttavia considerato uno dei più interessanti filosofi contemporanei. Già docente di Filosofia e Teoria dei Media presso l’Accademia di belle arti di Karlsruhe, insegna oggi Filosofia e Cultural Studies alla Universität der Künste di Berlino ed è un prolifico autore di saggi sull’ipercultura. In quest’ultimo lavoro, dal sapore un po’ luddista e piuttosto conservatore, Han intende sensibilizzare il lettore sui rischi nascosti nella tecnologia digitale e sul dolce richiamo delle sue insaziabili sirene. Per il pensatore di origini sudcoreane c’è un’oscura minaccia nel digitale che induce a derealizzare e disincarnare il mondo, spogliandolo dei suoi significati più veri e genuini. L’attuale iperinflazione degli oggetti e delle sfuggenti informazioni che essi veicolano porta alla loro esplosiva proliferazione, con il triste corollario di una crescente insensibilità e indifferenza nei loro confronti. I dati governano ormai tutti i nostri pensieri fino a portarci a consumare più informazioni che cose reali.
Ma la posizione del filosofo di Seul non vuole essere banalmente passatista o apocalittica. La riflessione è profonda e ricca di rimandi. Per Han le cose sono e restano i punti saldi dell’esistenza, ma è convinto che le informazioni le abbiano completamente insabbiate con l’impiego invasivo e onnicomprensivo della digitalizzazione, che è arrivata ormai a bandire addirittura i nostri ricordi. Dimentichi delle fruizioni e delle emozioni appena godute, siamo costantemente assediati da nuovi e stimolanti “infomi” che sono fondati sul brivido della sorpresa e simulano incessantemente gli eventi, in un flusso compulsivo e senza meta. Diventiamo così ciechi nei confronti delle cose meno appariscenti, quelle più vere e reali. Spesso le più silenziose e private, le uniche che sanno ancorarci veramente all’essere.
Il feticismo degli oggetti appartiene probabilmente al passato, sostiene Han. Ci stiamo allontanando dalla natura e dall’artigianato, cioè dall’uso sapiente della mano che conosce, che stima, partecipa e crea le cose. La digitalizzazione ha invece messo la parola fine al paradigma oggettuale, sottomettendo le cose alle informazioni e inducendoci a diventare feticisti dei dati. Ma il brivido della sorpresa non può durare a lungo, ammonisce Han. Le informazioni e le “non cose” additate dal filosofo sudcoreano hanno una validità molto limitata e per di più tossica, creando bisogni inutili e gettando nell’inquietudine il nostro sistema cognitivo.
Nella visione piuttosto cupa e antiprogressista di Han, oggi tutti noi corriamo dietro alle informazioni senz’approdare ad alcun sapere, prendendo nota di ogni cosa senza imparare a conoscerla davvero. Gestiamo quantità immense di dati senza far risuonare i ricordi e accumuliamo amici e follower senza mai incontrare l’Altro. Il piccolo schermo digitale che definisce la nostra esperienza quotidiana del mondo ci protegge infatti dalla realtà e dalla sua genuina pregnanza facendo tuttavia scomparire l’Altro, che si degrada a livello di oggetto disponibile, da consumare subito. E se il mondo è unicamente costituito da oggetti disponibili e consumabili, non possiamo più entrarvi in relazione. In una prospettiva tragica e davvero senza speranza.
Come abbiamo smesso di vivere il reale
di Byung-Chul Han
Einaudi
136 pagine – 2022
ISBN: 9788806251093