Le preoccupazioni rispetto agli effetti negativi della tecnologia digitale sulla salute mentale degli adolescenti sono diventate un argomento dominante nella discussione pubblica. Eppure la ricerca sociale non è mai riuscita a stabilire una volta per tutte l’esistenza di un legame tra coinvolgimento nelle tecnologie digitali e l’emergere di disturbi. Anzi, in molti casi il rapporto dei giovani con il mondo del web e dei social è foriero di grandi occasioni per instaurare relazioni positive e mature. Sempre che, sullo sfondo, rimangano gli adulti. Chiamati oggi a migliorare la propria “educazione” digitale.

di Davide Monopoli

Nell’ultimo decennio internet ha permeato la maggior parte della società. Gli adolescenti sono gli utenti più attivi, specialmente sui siti di social media, piattaforme in cui si ritrovano per giocare e comunicare tra di loro. Le ricerche dimostrano che pure i bambini sotto i sei anni hanno un’“innata” dimestichezza nella navigazione sui siti web a loro dedicati. Si tratta di una digital generation planetaria, o almeno della parte più ricca del globo, in grado sin dalla tenera età di surfare il web e di muoversi con disinvoltura sui display di computer, videogame, cellulari e su dispositivi touch come tablet e smartphone.
Un rapporto, quello tra giovani e nuovi media digitali, oggetto di grande curiosità. Ma anche di grandi fraintendimenti voluti e non voluti. Soprattutto perché il dibattito sul tema si è sempre avvitato su due retoriche rivali: una rivolta a segnalare rischi e pericoli, un’altra impegnata a celebrare la natura di “opportunità” in termini di emancipazione, partecipazione e integrazione sociale. Quale delle due interpreta meglio il fenomeno?

Una minaccia. Oppure no?

Storicamente, l’introduzione di un nuovo medium ha sempre suscitato promesse e preoccupazioni riguardo alle sue influenze su bambini e adolescenti. La ricerca che si è avvicendata nel corso degli anni è stata modellata proprio dalle preoccupazioni del pubblico, comprese quelle sull’apprendimento, la socializzazione, le emozioni, gli schemi del sonno e lo sviluppo morale. Una storia di allarme sociale che periodicamente si ripropone: all’inizio del XX secolo i romanzi da pochi centesimi furono accusati di aver suscitato condotte maniacali e una maggiore propensione ad assumere rischi. Una generazione dopo si pensava che la natura immersiva dei radiodrammi rendesse i giovani ascoltatori vulnerabili a problemi di salute, perdita di sonno e ansia. Queste preoccupazioni furono in gran parte dimenticate verso la metà del secolo, quando le caratteristiche visivamente stimolanti dei fumetti e della televisione furono implicate come fattori che predisponevano gli adolescenti al disadattamento e al comportamento antisociale. Più di recente, sono stati tirati in ballo i videogiochi che avrebbero prodotto una generazione di criminali violenti, anche se poi questa tesi è stata confutata. Oggi sono le nuove tecnologie digitali a essere sotto indagine, in particolare internet che presenta due caratteristiche contraddittorie e perciò inquietanti: medium personalizzato/individualizzato, ma anche medium interattivo/connettivo in grado di accelerare l’interazione sociale e, allo stesso tempo, inibirla.
L’uso così intensivo dell’online da parte di un’utenza giovanile e infantile è stato suggerito come un fattore capace di scatenare problemi di salute mentale. Studi quantitativi del recente passato avrebbero trovato associazioni tra la frequenza e la durata dell’uso dei social media e rischi sul benessere psicofisico complessivo e il deterioramento delle relazioni interpersonali. L’ipotesi dominante è stata quella dello “spostamento”: in parole povere internet può essere dannoso per lo sviluppo sociale dei giovani perché il tempo online sostituisce il tempo che i ragazzi trascorrerebbero a interagire con famiglie e amici. In sostanza, i legami deboli formati online subentrano ai legami forti offline. Questo argomento si basa su un’assunzione a somma zero dell’uso del tempo. Cioè che le persone hanno un tempo limitato, quindi quello trascorso in un’attività interferisce con il tempo che verrebbe speso in un’altra. Seguendo questo costrutto il tempo online è correlato negativamente all’interazione faccia a faccia; per di più la comunicazione online sarebbe meno utile o preziosa di quella “in presenza”. Il maggiore uso di internet sarebbe dunque associato al calo della comunicazione familiare e delle dimensioni del circolo amicale, nonché all’aumento della solitudine e della depressione. L’esito poco rassicurante di questi studi basati sull’ipotesi dello spostamento è stato spesso citato dalla stampa e in tanti documenti accademici. E ciò ha contribuito ad amplificare le preoccupazioni del pubblico adulto, non nativo digitale, circa gli effetti deleteri di internet su bambini e ragazzi.

I limiti della ricerca quantitativa

Questi risultati, seppur suggestivi e apparentemente autoevidenti, sono stati via via accolti con crescente scetticismo da studiosi e psicologi: in primo luogo lo “spostamento temporale” non è sufficiente a spiegare l’influenza negativa dell’uso di internet sulla qualità delle relazioni. In secondo luogo, anche se la comunicazione online è minore, può servire come rinforzo, e non come compromesso, alla comunicazione faccia a faccia. Internet e i social fungerebbero quindi egregiamente da mezzo supplementare dell’interazione offline.
Infine un’importantissima annotazione di carattere metodologico: nella maggior parte degli studi empirici del passato, i dati raccolti erano trasversali e non collocati entro un contesto preciso, quindi le associazioni con i disturbi mentali sono deboli e di dubbia importanza pratica. Senza contare, poi, che i panel indagati hanno mostrato nel corso del tempo un certo deterioramento: i soggetti osservati hanno cioè maturato nuove consapevolezze e fruizioni modificando di fatto le condizioni di partenza dell’analisi.

Social networks

Oggi quindi si preferisce sondare le esperienze vissute degli adolescenti nell’uso dei social media utilizzando un approccio qualitativo che porti alla luce sia gli aspetti negativi sia quelli positivi. E in effetti la ricerca così impostata consente esplorazioni più approfondite ed evidenzia ben più sfumature di risultati rispetto alle sole ricerche quantitative.

Fuggire dai luoghi comuni

Insomma, non senza un certo moralismo è stata propalata negli anni la vulgata che il mondo online e dei social media abbia effetti perniciosi sui soggetti in età evolutiva, adolescenti in primis. Si è parlato tantissimo e scritto molto sull’argomento: aumento del cosiddetto “online brain”, cattivi incontri che si possono fare in rete, fra pornografia, sexting, cyberbullismo e dipendenza da internet a scapito dei legami offline. Ma è davvero così? O meglio, è davvero solo così? Impossibile rispondere in maniera netta perché il fenomeno è ovviamente complesso e le variabili in gioco sono molteplici. Anche perché, ricordiamolo, internet è un’“ambiente”, sia sociale che cognitivo, in cui ciascuno costruisce una propria rappresentazione. Il web è cioè il luogo delle nostre fantasie, un mondo composto dalle nostre rappresentazioni mentali che interagiscono con le rappresentazioni mentali degli altri abitanti di questo enorme spazio. Ecco dunque spiegata l’estrema difficoltà a governare in modo normativo questo ambiente.
Qualche spunto non banale arriva però dal mondo accademico statunitense che sembra scardinare l’opinione allarmistica degli effetti negativi di internet e dei social sui giovani. Da ricordare a tal proposito la sistematica review a firma della professoressa Jenna Christofferson della University of St. Thomas in Minnesota: si tratta di un lavoro un po’ vecchiotto (2016), ma di importanza seminale per un approfondimento critico, lontano dai luoghi comuni, di questo tema. Un lavoro comunque mastodontico, suffragato da 15 studi altamente referenziati relativi all’impatto dei social network sullo sviluppo sociale, quello emozionale e quello scolastico negli adolescenti.

Nel cuore “social” dell’adolescenza

Ebbene, secondo quanto emerso dall’attività della Christofferson, i social media hanno un enorme impatto sugli adolescenti a causa del modo in cui hanno inondato le loro vite a un livello che sembra incomprensibile ai giovani di ieri. Gli attuali strumenti di comunicazione adolescenziale hanno inoltre una serie peculiare di nomi che gli adulti spesso stentano a imparare o di cui faticano a decifrare il senso. Wall post, aggiornamenti di stato, feed di attività, pollici in su, profili: questi sono solo alcuni dei termini con cui i giovani di oggi comunicano tra loro. E lo fanno sui social “di cittadinanza” come Instagram, Snapchat, Tik Tok o Facebook, definiti così perché in grado di definire un’identità di relazione. Tramite questi social, infatti, gli adolescenti instaurano legami di amicizia oppure hanno occasione di coltivarli e rafforzarli; inoltre traggono dalle stories e dai profili degli esempi di vita sperimentata dai quali imparano come relazionarsi, soprattutto con l’altro sesso. Il profilo Facebook può rappresentare il luogo di una storia d’amore in erba o il palcoscenico per un conflitto. Gli scambi che iniziano online possono poi procedere offline e, ancora più frequentemente, le conversazioni avviate di persona possono continuare negli spazi dei social media dove vengono poi annotate con commenti, foto e video. Quando sorge un motivo di ostilità, alcuni scelgono di manifestare le loro lamentele in piena vista ai loro amici, mentre altri ritengono che i canali di comunicazione privati siano luoghi più appropriati per affrontare i problemi di relazione. Sul piano dello sviluppo emozionale, quindi, i social network dimostrano di avere una loro funzione, relativa alla sperimentazione e alla scoperta della vita affettiva.
A livello relazionale, tanto in presenza quanto sui social, si instaurano degli strati gerarchici che vanno da un gruppo di amici più stretti sino a semplici conoscenti con i quali si mantiene un contatto; in questi termini pare che i social servano soprattutto a evitare il decadere delle amicizie nel tempo e il venir meno di qualsiasi contatto. E sicuramente il ricorso alla rete, accentuatosi anche fra i bambini e i preadolescenti in tempi di confinamento, ma anche e di chiusura di scuole e attività sportivo-ricreative, svolge anzitutto una precisa funzione: quella di coltivare i legami con gli amici e di socializzare.
Per quanto riguarda l’apprendimento scolastico, la review della Christofferson sottolinea inoltre l’importanza di comunicare fra coetanei per l’esecuzione dei compiti e la costruzione di lavori di gruppo in una prospettiva antiautoritaria che supera la comunicazione verticale “da uno a molti”, tipica delle lezioni frontali. Ancora una volta si riconosce l’importanza dei social media come arena per l’interazione tra pari.

L’inversione a “U” della ricerca

Diversi studi rilevano come i social network abbiano sostituito quello che nei decenni scorsi era il ruolo del telefono nell’instaurazione e nella manutenzione dei legami. Questo filone interpretativo più benevolo verso le attività online si basa sull’ipotesi dell’“aumento”: l’uso di internet aumenterebbe, cioè, l’interazione sociale e la vicinanza con gli altri. Tale ipotesi si spiega considerando le potenzialità di internet come medium interattivo in grado di connettere le persone superando le barriere del tempo e del luogo. In seconda battuta, le caratteristiche di anonimato e la mancanza di evidenti simboli sociali di status possono facilitare gli utenti nell’avvio di nuove relazioni. Ovviamente le persone usano i media in base alle loro esigenze e motivazioni, e tale uso è rinforzato dalle gratificazioni ottenute. In particolare per gli adolescenti, che iniziano a espandere i propri interessi verso l’esterno e hanno un forte bisogno di contatto con gli amici, l’interazione sociale sarà uno dei motivi principali per la comunicazione online.
L’approccio teorico degli “usi e delle gratificazioni” ai servizi interattivi di internet fornisce il caposaldo per l’ipotesi dell’incremento. Procedendo su questo sentiero logico si è giunti a una conclusione notevole che ribalta il rapporto causale tra i fattori: internet è più utile per mantenere i social network esistenti che per crearne di nuovi. E l’interazione offline stimola, piuttosto che essere stimolata. Si sostiene in sostanza che la competenza sociale esistente (o la sua mancanza) sarebbe una variabile antecedente all’uso di internet. Quest’ultimo, anzi, aumenterebbe le chance comunicative dell’adolescente che ha già forti legami sociali nella vita reale e compenserebbe l’assenza di socialità delle persone più ansiose e isolate. Il che, in ultima analisi, ridimensiona di molto l’impianto accusatorio che voleva internet generatore di disagi e disturbi mentali.

Gli effetti avversi

Parecchi sondaggi e interviste rivolte ad adolescenti americani hanno fatto emergere che sui siti di social network le interazioni positive si verificano più frequentemente di quelle negative. Che comunque accadono. Se infatti da una parte l’uso dei social media influenza positivamente in termini di senso di appartenenza e supporto sociale, dall’altra avrebbe un effetto negativo in termini di stress percepito e spostamento di altre attività come il sonno e i compiti per la scuola. A quest’ultimo riguardo, gli studi riscontrano il notevole livello di distrazione dalle lezioni indotto dall’utilizzo dei social tanto che talvolta i giovani non capiscono effettivamente gli argomenti discussi a scuola. Inoltre, quando l’attività sui social diviene frenetica e si protrae per diverse ore al giorno, vengono meno le energie psicofisiche per applicarsi nello studio.
Ma soprattutto gli psicologi hanno individuato alcuni problemi direttamente correlati all’utilizzo dei social media che includono comportamenti come bullismo, formazione di cricche, sperimentazione sessuale (sexting) e dipendenza da internet.

Adulti, i veri incompetenti digitali

Considerando la natura irresistibile dei social media e le capacità di autogestione relativamente limitate degli adolescenti, gli sforzi per mitigare questi aspetti negativi dovrebbero evitare di fare affidamento proprio sull’autoregolamentazione. L’attenzione da parte degli adulti è la chiave. Per i genitori, in particolare, ciò significa essere medialmente competenti e non solo dispensatori di regole e restrizioni. In pratica il modo migliore per proteggere i ragazzi dai rischi della rete va ricercato nel rafforzamento della propria “competenza mediale”, nel conoscere il mondo digitale ed essere in grado di sfruttarne le opportunità. Verificando in prima persona che l’uso della rete e dei social permette quelle evoluzioni positive rintracciate, per esempio, dallo studio della Christofferson: apprendimento collaborativo, alfabetizzazione multimediale digitale, rimozione dei confini per sviluppare connessioni e consolidamento delle relazioni sorte offline. L’introduzione dell’adulto come figura chiave nel rapporto tra giovani e mondo digital è in linea, peraltro, con la strada imboccata dalla ricerca sociale più attuale. Che oggi si orienta maggiormente a valutare gli aspetti di contesto per analizzare gli esiti delle esperienze sul web o sui social network sulla qualità di vita degli utenti più giovani. Come abbiamo visto, ci sono poche prove che l’uso della tecnologia digitale e dei social causi diminuzioni della salute mentale e psicologica degli adolescenti. I risultati delle varie ricerche volti a dimostrare l’impatto negativo dei social media sulla salute psicologica degli adolescenti si sono rivelati deboli e vagamente artefatti.