I rischi connessi all’uso dei social network

recensito da Antonello Raciti

Sta riscuotendo grande risonanza mediatica il nuovo volume di Jonathan Haidt, il noto psicologo morale e filosofo che si era distinto alcuni anni fa per il precedente best seller Menti tribali, in cui esplorava l’universo di credenze collettive che inducono le persone a prendere decisioni e dare giudizi morali sui grandi temi della politica e della religione. Anche per quest’ultimo lavoro dedicato al mondo degli adolescenti, l’autore americano, che è anche docente di leadership etica alla Stern School of Business dell’Università di New York ed è uno dei pensatori più popolari della Silicon Valley, si avventura in un argomento molto complicato e non per questo meno interessante. La relazione tra uso di device tecnologici e insorgenza di malattie mentali tra i minori è infatti oggetto di importanti studi a livello globale per via dell’impennata del disagio e dei disturbi del comportamento, per i quali non è affatto facile individuare un’eziologia chiara, univoca e al tempo stesso coerente.

La tesi portante del libro è che l’incremento sincrono, in tutto il mondo occidentale, di disturbi d’ansia e depressione registrati tra gli adolescenti dal 2010 al 2015, e poi peggiorato con il passare degli anni, sia una conseguenza dell’utilizzo sempre maggiore dei dispositivi elettronici, fino all’esplosione dei social network. E per dimostrarlo Haidt fa sfoggio di statistiche e dati epidemiologici che quasi mai appaiono focalizzati e correlati all’argomento “digitale” ma che possono essere spiegati, e anche meglio, in moltissimi altri modi. Stona soprattutto il fatto che l’aumento statistico dei problemi di salute mentale o dei suicidi tra i giovanissimi dovrebbe quantomeno presentare un’interpretazione multifattoriale e non certo un’unica, sbrigativa spiegazione di natura tecnologica. Insomma, la sensazione è che anche questo lavoro rientri purtroppo in quei classici tritacarne editoriali che, fiutando l’hype mediatico di un tema, lo espandono a dismisura per ottenere più attenzione possibile grazie all’allarmismo. Siamo quindi assai distanti dal lavoro silenzioso di chi si occupa, con seria e operosa ricerca clinica, di un tema complesso come quello del disagio mentale. E ci troviamo invece in quella terra di nessuno che è dominata dal marketing editoriale e che crea best seller sull’onda del sensazionalismo.

Ciò che rileva maggiormente in questa discussione è che non esistono ancora studi scientifici che dimostrino una correlazione causale tra l’impiego dei device digitali e la malattia mentale. Molte invece sono le ricerche che illustrano come il loro impiego compulsivo e prolungato possa influenzare negativamente le capacità di attenzione, i processi decisionali, la memoria e il pensiero critico, oltre a creare dipendenza psicologica. In questo nuovo lavoro di Haidt rimangono pertanto inevase moltissime domande riguardanti la correlazione tra tecnologie digitali e problemi psicologici latenti o pregressi, così come resta senza esito il grande tema del cambiamento della socialità tra i ragazzi o, ancor meglio, dell’allargamento dei rapporti interpersonali anche sul versante online, che si affiancano a quelli della vita reale senza per questo annullarli o mortificarli. E quindi con effetti assolutamente positivi per la crescita e la maturazione psicosociale di un adolescente. In buona sostanza, la tecnologia da sola non fa certo ammalare, anzi. Tuttavia un vissuto pregresso di depressione o di solitudine può trovare nei social un veicolo formidabile per isolarsi sempre più ed eludere le situazioni di difficoltà relazionale, peggiorando ulteriormente la propria condizione di disagio. Ma, si sa, un lavoro che illustrasse tutte le correlazioni tra queste banali verità cliniche non diventerebbe mai un best seller.

La generazione ansiosa

La generazione ansiosa

di Jonathan Haidt
Rizzoli
456 pagine – 2024
ISBN: 9788817189767