I device digitali in mano ai figli preadolescenti stanno diventando un facile alibi per deresponsabilizzare i genitori, soprattutto in ambito scolastico. Ne parliamo con Anna Oliverio Ferraris.

di Antonello Raciti

Le nuove generazioni di genitori sembrano essere piuttosto superficiali nell’affidare ai propri figli undici-dodicenni un oggetto tanto complesso e interattivo come lo smartphone, spesso regalato per esigenze di status e ancor più frequentemente per conformismo. “Ce l’hanno tutti!” è l’obiezione tipica di molte madri per giustificarne l’acquisto, “E poi posso sempre sapere dov’è mio figlio”. Un atteggiamento che a tutta prima appare molto superficiale, poco coscienzioso e pigro, al punto da delegare ai figli addirittura il compito di gestire sulle chat di WhatsApp gli scambi di informazioni relative al lavoro scolastico, investendoli di fatto di una responsabilità che dovrebbe invece ricadere sugli adulti. Che cosa sta succedendo? Possibile che il presidio dei genitori sia diventato oggi così debole e sciatto? Lo abbiamo chiesto ad Anna Oliverio Ferraris, psicoterapeuta, saggista e docente di Psicologia dello sviluppo all’Università della Sapienza di Roma.

La cosa che emerge sempre dalle conversazioni con molti adulti è la totale aproblematicità rispetto al possesso di un dispositivo digitale. Come se questi genitori non capissero che lo smartphone può essere “anche” fonte di problemi e non solo di vantaggi pratici e immediati. Lei che cosa ne pensa?
«Penso che siano convinti che lo smartphone debba far parte del corredo dei figli, come gli abiti, lo zainetto, l’orologio e i libri di scuola. Siccome lo usano molto loro, gli adulti, pensano che allo stesso modo possano usarlo anche i figli. Molti genitori sono orgogliosi dell’interesse che i loro figli mostrano nei confronti di questi oggetti “magici” fin da piccolissimi. Siccome li vedono manipolare il tablet o lo smartphone pensano che siano molto intelligenti e che vadano incoraggiati a usarli. Più di una volta ho visto un genitore che insegnava al figlio, che ancora non sapeva camminare, come fare apparire delle immagini sullo schermo dello smartphone con il tocco delle dita o come eseguire un videogioco.

D’altro canto recentemente sono comparsi dei passeggini per bambini tra zero e tre anni in cui è inserito il supporto per lo smartphone. Poiché i device digitali offrono una gamma molto ricca di possibilità, molti adulti sono assai più interessati agli aspetti tecnici che ai contenuti. Trattandosi anche di status simbol, ritengono di non poter privare i propri figli di questi oggetti totemici la cui mancanza li farebbe sentire “sfigati” di fronte agli amici».

Uno dei vantaggi nell’affidare uno smartphone ai propri figli è soprattutto quello di deresponsabilizzare il genitore: si delega al dispositivo digitale molte funzioni quali il controllo del proprio figlio, il suo intrattenimento, ma anche la gestione delle curiosità e dei saperi, tutti i saperi. Sono spesso funzioni che i genitori non hanno più intenzione di svolgere o presidiare. Ma è soprattutto la deresponsabilizzazione rispetto alle esigenze della scuola che emerge con forza laddove, sulle chat scolastiche, si preferisce che siano i figli a informarsi e a organizzare incontri, compiti e riunioni. “Tanto mio figlio è ormai grande e può fare tutto da solo” è il refrain consueto. Come si interviene? E che cosa può fare la scuola?
«Difficile intervenire quando ormai l’abitudine allo smartphone si è installata. Molti, sia adulti sia ragazzi, non riescono a farne a meno. Ne sono dipendenti come da una droga. Il suono che segnala l’arrivo di una notifica crea curiosità e un clima di attesa che spinge a verificare immediatamente il contenuto. Analogamente è difficile resistere dall’attivare il cellulare se lo si ha sempre in mano o accanto a sé: magari per un semplice saluto, per esplorare nuove app, per guardare un video porno, per raggiungere l’influencer del momento, per connettersi con tik tok, per condividere un selfie e così via. Le interruzioni frequenti deconcentrano, rendono frammentaria l’attenzione, si passa da un contenuto all’altro senza approfondire. Si può perdere molto tempo in attività inutili e si possono anche fare degli incontri pericolosi. Per tutti questi motivi il Governo francese ha preso in considerazione di vietare l’uso dello smartphone ai minori di quattordici anni».

Torniamo ai genitori, che sembrano non avere alcuna intenzione di prendersi carico di semplici obblighi come ad esempio accompagnare banalmente i figli a scuola, trincerandosi dietro la scusa che “con il cellulare posso sempre sapere dov’è mio figlio”. Lei come la vede? Ci stiamo avvicinando a una subdola forma digitale di abbandono di minore?
«Questo rischio c’è, nel senso che invece di interagire in presenza fornendo modelli di comportamento, creando un dialogo autentico e diretto su attività che si svolgono insieme, si finisce per isolarsi ognuno in un mondo a parte. Bisogna dunque imparare a gestire il mezzo invece di lasciarsi gestire. Si tratta di stabilire dei tempi e dei limiti. Su questo esistono chiare indicazioni da parte di diverse agenzie educative e sanitarie. Le regole suggerite ai genitori sono quelle di non mettere di fronte agli schermi, compreso quello televisivo, i bambini prima di tre/quattro anni, di non dare un tablet prima dei sette/otto anni e di non dare uno smartphone prima dei quattordici anni. Bisogna inoltre stare al loro fianco quando esplorano la rete ed esercitare un parental control sui device, oltre a contrastare la sedentarietà facendo svolgere attività motorie, dai giochi all’aperto agli sport, che oltre a favorire una crescita sana, comportano benefici a lunga durata che saranno utili nella tarda età. Serve anche molto un’educazione musicale e artistica nella quale il bambino diventi protagonista di esperienze formative».

E che cosa si sente di consigliare ai genitori, spesso troppo disattenti e svogliati nell’esercitare un sano presidio sulle esperienze digitali dei propri figli?
«I genitori vanno aiutati a comprendere gli effetti a breve e a lungo termine di un utilizzo smodato delle tecnologie digitali. Molti sono convinti che tutto ciò che è nuovo sia positivo e da acquisire a scatola chiusa. Vanno anche aiutati a comprendere le tappe dello sviluppo dei loro figli e che la crescita non deve essere accelerata, ma accompagnata secondo i tempi e i ritmi naturali. E dovrebbero imparare a capire anche che troppi stimoli creano confusione e spaesamento in un bambino».