La Legge n° 112 del 2016 predispone una rete di misure idonee a tutelare la vita delle persone con gravi disabilità che restano prive di sostegno familiare. Una legge importantissima, ma anche un testo lacunoso e per certi versi poco applicato che oggi si appresta a essere rivisto e ampliato. Vediamo perché.

di Cristina Audagna

Oggi nel mondo le persone con disabilità intellettiva godono di una maggiore aspettativa di vita e, in media, vivono molto più a lungo rispetto al passato spesso sopravvivendo ai genitori. L’aumento del numero di persone con disabilità anziane spalanca però nuove sfide per la società, i governi, le famiglie, gli operatori e le stesse persone con disabilità a cui è necessario garantire una buona qualità di vita anche nell’età anziana o al momento in cui vengono a mancare i genitori. Non di rado, infatti, un disabile in là con gli anni e privo del supporto dei familiari più stretti subisce una doppia discriminazione: per la sua condizione di disabile e per la sua età. Poiché questa è la prima generazione di persone con disabilità che vive così a lungo, devono ancora essere implementati parecchi sistemi e servizi in grado di garantire loro autonomia e benessere. E anche quando tali servizi effettivamente già esistono, le politiche sociali dovrebbero assicurare che siano davvero ampiamente disponibili e accessibili. L’Associazione nazionale di famiglie e persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo (www.anffas.net), è stata la prima in Italia a coniare l’espressione “Dopo di noi”, la locuzione con cui i genitori di persone con disabilità indicano il periodo successivo alla loro dipartita. L’interrogativo di queste famiglie in pratica è: “chi si prenderà cura di mio figlio quando noi non ci saremo più, quando non potremo più assisterlo e lui invecchierà?”.

La pietra angolare: la Legge 112/2016

Un punto di partenza è la Legge n. 112 del 23 novembre 2016, un testo pensato per rispondere a questa preoccupazione dei genitori di persone con disabilità. La legge, nota anche come “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare”, fa perno, almeno nelle intenzioni del legislatore, sul progetto di vita individualizzato, cioè sull’attuazione del diritto all’ autodeterminazione e libertà di scelta del come e con chi vivere. Superare quindi le situazioni del “confinamento” in strutture di ricovero, favorendo invece la possibilità di “vita in casa” per le persone con disabilità grave e prive del sostegno familiare, rappresenta il suo principale obiettivo. Un nobile intento, questo, per cui sono stati messi in campo strumenti come fondi a sostegno di progetti di co-housing, ma anche defiscalizzazione di trust, vincoli di destinazione di beni e stipula di polizze assicurative da parte delle famiglie dell’interessato e promozione, in via prioritaria, di percorsi alternativi all’istituzionalizzazione. Insomma, questo importantissimo provvedimento legislativo ha avuto il merito di fondare, pur nei limiti e nelle carenze evidenziate da più parti nel corso degli anni, un nuovo paradigma nel supporto e nella valorizzazione delle persone con disabilità. Ha cercato cioè di dare vita a un nuovo modo di intendere il “dopo di noi”, partendo dal riconoscimento che le persone con disabilità non possono, dall’oggi al domani, essere deportate e segregate in una struttura, a volte anche parecchio distante dall’ambiente e dal tessuto sociale in cui hanno sempre vissuto, e veder bruscamente interrotto tutto il loro percorso fino a quel momento costruito. Per la prima volta, dunque, si inizia a pensare al disabile come persona, che, come tutti gli altri, ha diritto a non veder “spezzato il filo” della sua esistenza.

Una norma che può e deve essere migliorata

Eppure sulla legge per il Dopo di noi delle persone con disabilità c’è molto da lavorare: lo ha dimostrato di recente la relazione della Corte dei Conti sull’attuazione delle misure volte al benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità grave prive di sostegno familiare, previste nel “Fondo Dopo di noi”. In questo documento, la magistratura contabile, oltre a rilevare come il numero dei beneficiari (tra i 100 e i 150mila) sia stato stimato in modo solo indiretto e parziale, ha sottolineato che solamente 8.424 persone risultano aver effettivamente beneficiato delle prestazioni erogate, evidenziando così un’applicazione della legge ancora molto limitata e a macchia di leopardo su tutto il territorio nazionale. E mostrando, se proprio ce ne fosse ancora bisogno, le difficoltà delle Regioni del mezzogiorno.
Comunque, al netto di tutte le criticità non banali emerse nel corso degli anni (come, per esempio, i criteri di quantificazione delle risorse, i criteri di riparto alle Regioni e i ritardi e le inadempienze di quest’ultime), la legge sul Dopo di noi ha rappresentato un faro e un’opportunità per garantire alle persone con disabilità e alle loro famiglie un percorso sicuro per il futuro. Tuttavia oggi si preferisce rivolgere più attenzione nell’assicurare anche un migliore tempo presente. Il concept della norma, in sostanza, va riformulato e affinato, ampliando le maglie dell’applicabilità di questa legge e garantire un “durante e dopo di noi” che sia un reale percorso di accompagnamento e sostegno per le persone con disabilità e per i loro familiari. Per esempio non se ne parla da nessuna parte, ma si dovrebbe: qual è il ruolo dei fratelli e delle sorelle (siblings) delle persone disabili, e del loro compito implicito di caregiving alla morte dei genitori? Perché in buona sostanza saranno proprio loro, un domani, a dover fare i conti con quel “Dopo di noi” che angoscia i genitori, quel momento in cui ne prenderanno il testimone per curarsi del fratello. Su tutto questo c’è un silenzio assordante e una certa resistenza a normare e a supportare condizioni familiari speciali, ma niente affatto rare.

Dopo di noi

Con l’obiettivo di migliorare la norma, e la sua applicazione, proprio recentemente è stato convocato dal ministero per le Disabilità un tavolo tecnico che, insieme ad amministrazioni, associazioni ed enti, ragionerà in merito alla proposta di riforma della Legge 112/2016. Una riforma che potrà potenziare questo strumento e garantire maggiormente a ogni persona un percorso completo e partecipato nella comunità.

L’importanza del Terzo settore e dei corpi intermedi

In ogni caso la Legge 112/2016 contiene già in germine molti elementi preziosi che oggi giorno possono essere singolarmente presi e ulteriormente rafforzati. Il testo di legge, per esempio, potrebbe formalizzare e prevedere in maniera più diretta il contributo del Terzo settore, che per sua natura ha una speciale vocazione nel realizzare progetti individualizzati e non più standardizzati. Il Terzo settore ha cioè la capacità di ragionare in una logica non solo di cura, benessere e assistenza come questa legge si prefigge, ma anche di trovare nelle persone con disabilità soggetti che possono essere attivatori di altre politiche di welfare. Del resto sia l’associazionismo sia il mondo cooperativo sono spesso riconosciuti dalle famiglie come intermediari degni di fiducia insieme ai quali pensare, progettare, realizzare progetti per il “durante e dopo di noi”.
Più in generale il vero traguardo sarebbe uscire dalla logica dell’assistenzialismo e creare le condizioni perché le persone con disabilità abbiano riconosciuto il diritto al lavoro e degli spazi di partecipazione pubblica. Che abbiano, in altre parole, la possibilità di realizzare una vita piena e compiuta.

Oltre la cura c’è un progetto di vita: la grande portata storica della Legge 328/2000

Nel perseguire una logica promozionale contrapposta a una meramente ripartitiva e assistenzialistica, non si può non citare la Legge n° 328 dell’8 novembre 2000, cioè la Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Si tratta di un provvedimento normativo relativamente stringato: è composto infatti di soli 30 articoli, suddivisi in sei capi, ma di importanza seminale perché affermano principi come l’universalità del sistema dei servizi, la sussidiarietà, la valorizzazione del ruolo delle famiglie, strumenti informativi e programmatori rilevanti.
A livello più generale, però, il valore principale della norma risiede nella sua impostazione di fondo: grazie alla 328 il sistema integrato dei servizi è considerato come un vero e proprio pilastro essenziale della piena cittadinanza. L’approccio promozionale pensato da questa legge ha una rilevante portata trasformativa: esso determina l’abbandono di interventi e prestazioni concentrati sulle categorizzazioni degli utenti, favorendo percorsi di accompagnamento rivolti alla persona nel suo complesso. La creazione di percorsi e interventi di questo tipo genera, a sua volta, la necessità di un sistema di servizi maggiormente integrato e trasversale. E infatti un altro elemento importante è l’invito al coinvolgimento del Terzo settore, cui non deve essere demandata solo la fornitura dei servizi, ma a cui deve essere riconosciuto un ruolo propositivo e pienamente progettuale. In particolare l’articolo 14 (formato da tre commi) reca la dicitura “progetti individuali per le persone disabili” e sancisce che tali progetti debbano essere gestiti a livello comunale e debbano essere lo strumento principale attraverso cui garantire una vera e propria presa in carico dei bisogni della persona. Lo scopo è quello di evitare che siano erogate prestazioni standard senza tenere conto delle relazioni che esistono tra i diversi contesti (scuola, formazione, lavoro, tempo libero, sanità, riabilitazione, assistenza sociale, famiglia). Il comma 2 è chiaro: “il progetto individuale comprende, oltre alla valutazione diagnostico-funzionale, le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale, i servizi alla persona a cui provvede il Comune in forma diretta o accreditata, con particolare riferimento al recupero e all’integrazione sociale, nonché le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale. Nel progetto individuale sono definiti le potenzialità e gli eventuali sostegni per il nucleo familiare”.
Il progetto di vita, secondo la normativa nazionale, dovrebbe quindi costituire il fulcro principale del sostegno alle persone con disabilità. Non si smette certo di parlare di cura e riabilitazione, si parla “anche” di integrazione e di misure di contrasto all’esclusione. Ma quel che è importante sottolineare è che gli interventi previsti dall’articolo 14 sono multidimensionali, non dimenticando, quindi, le relazioni interne alla rete famigliare e prevedendo anche sostegni economici.