Con una comunicazione più ampia e accattivante, l’uso dell’alcol tra gli adolescenti è aumentato rapidamente e con esso i rischi per la salute e la sicurezza. La fotografia scattata dall’Istat nell‘Indagine conoscitiva sulle dipendenze patologiche diffuse tra i giovani, aggiornata con i dati 2020, mostra uno spaccato preoccupante.

di Davide Monopoli

Il consumo e l’abuso di alcol fra i giovani è un allarmante fenomeno in forte crescita, in Italia come all’estero. Una preoccupazione tutt’altro che pedante e infondata, sostenuta anzi da evidenze epidemiologiche abbastanza solide prodotte da diversi osservatori ed enti di ricerca istituzionali. Nel maggio del 2021, per esempio, l’Istat ha presentato in audizione presso la Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza un’indagine conoscitiva sulle dipendenze patologiche diffuse tra i giovani. Ebbene in questa indagine i dati riferiti alle abitudini alcoliche degli adolescenti sono perlomeno inquietanti: nella fascia di età 11-17 anni, il 18,5% ha consumato almeno una bevanda a base di alcol nell’anno 2020. Un valore che dovrebbe invece tendere allo zero, dal momento che lo stesso Ministero della Salute raccomanda il livello di consumo zero come livello di riferimento per la popolazione di età inferiore ai 18 anni di entrambi i sessi. Certo, il consumo di bevande alcoliche tra i ragazzi è prevalentemente di tipo occasionale (17,6%) e spesso lontano dai pasti (8,7%).
Ma l’occasionalità, lungi dall’essere un fatto rassicurante, spalanca le porte al “binge drinking”, al bere cioè con il preciso intento di ubriacarsi, e/o al consumo fuori pasto almeno settimanale. Si rileva con preoccupazione, infatti, che gli episodi di ubriacatura raggiungono già tra i 16-17enni livelli quasi allineati a quelli medi della popolazione (6,5% rispetto al 7,6% della media della popolazione di 11 anni e più), con tassi simili in entrambi i sessi. Si tratta di una percentuale ragguardevole soprattutto se si considera che in Italia è vietata la somministrazione di alcolici a ragazzi al di sotto dei 16 anni. Se invece si analizza la fascia di età tra i 18-24 anni, il consumo di alcol nel 2020 ha riguardato circa tre giovani su quattro (73,5%) con un aumento negli ultimi dieci anni di quasi cinque punti percentuali. Un incremento che ha interessato in particolare le ragazze e, come per i minori tra gli 11-17 anni, riguarda prevalentemente un consumo occasionale (65,6%) e al di fuori dai pasti (50,5%).

Un nuovo modo di bere

Tali tendenze rispecchiano quelle osservate sulla popolazione generale e mettono in evidenza come, negli ultimi anni, il modello di consumo alcolico a tavola sia stato via via sostituito da un consumo fuori dai pasti, di tipo più occasionale, ma spesso non moderato. Il bere non ha più quel significato “bagnato”, ovvero associato a un ampio sistema di pratiche alimentari, tipicamente mediterranee, ma ha assunto un livello più “asciutto”, cioè slegato dal contesto di appartenenza. Sociologicamente parlando, la cultura bagnata, ovvero il bere all’interno dei pasti e della tradizione, lascia il passo alla cultura asciutta, di marca anglosassone e nord europea, in cui l’alcol è isolato dall’ambito culturale. Ai tradizionali modi di bere bagnato (pranzi, cene, aperitivo) si associano, oggi, nuovi modi di bere (happy hour, binge drinking, shot, botellon) importati da culture asciutte che vengono adattati al nuovo contesto, dando origine a forme ibride (si pensi all’aperitivo/happy hour), in luoghi nuovi (per esempio il bere in strada da parte di adolescenti) e con modalità e rituali che rappresentano il risultato di una negoziazione tra modelli culturali diversi.
In questo senso i dati statistici, ancora una volta, sono particolarmente suggestivi: in Italia il consumo fuori pasto con una frequenza almeno settimanale ha riguardato nel 2020 il 12% dei giovani di 18-24 anni; in questa fascia di età, se si rapporta il numero medio di bicchieri fuori pasto a settimana a quello complessivo settimanale, si osserva che l’incidenza del fuori pasto è superiore all’80%. Tra i 18 e i 24 anni, gli episodi di ubriacatura hanno riguardato, invece, circa due giovani su dieci (18,4%). Si segnalano per questo tipo di consumo a rischio più gli uomini che le donne (22,1% contro 14,3%), anche se nel tempo la quota di donne con abitudini al binge drinking è cresciuta significativamente. Infine è interessante segnalare che l’abitudine al consumo fuori pasto almeno settimanale e gli episodi di ubriacatura raggiungono prevalenze più elevate tra i giovani di 18-24 anni che vivono in famiglie con risorse economiche medio-alte.

Il ruolo centrale della famiglia di origine

Diversi studi inoltre hanno sottolineato che in Italia la famiglia rimane il luogo più usuale in cui il minore viene per la prima volta in contatto con l’alcol. Si tratta probabilmente di un costume sociale radicato nella più ampia cultura mediterranea, dove viene ritualizzato e controllato un comportamento all’interno di una sperimentazione, che può veicolare un uso più razionale e responsabile dell’alcol rispetto a quanto avviene nei contesti del Nord Europa.

Adolescenti e alcol

Imparare a bere alcool durante i pasti in famiglia potrebbe determinare abitudini più moderate di assunzione in età adulta. Di contro, però, questa iniziazione precoce all’alcol potrebbe anche riflettere una mancanza di educazione a più corretti stili di vita in ambito familiare, tenendo anche conto dell’attuale contesto sociale, molto diverso da quello tradizionale. Un avvicinamento troppo prematuro all’alcol può quindi rappresentare oggi un fattore permissivo verso forme di abuso in età successive. E comunque, mai come in questo caso, i comportamenti dei genitori influenzano quelli dei figli, senza contare il fatto che i membri della famiglia condividono il medesimo status socioeconomico, a cui è associato una diversa propensione ad assumere comportamenti a rischio, alcol compreso.
Una particolarità che emerge da parecchie indagini e che sintetizza un po’ tutte le considerazioni fin qui esposte è il fatto che ormai i cosiddetti “alcolpops” rappresentano il prodotto alcolico più consumato dagli adolescenti, almeno della scuola media di primo grado, a differenza di quanto avviene negli adulti per i quali il vino rimane il prodotto alcolico più consumato. Gli alcolpops sono bevande introdotte sul mercato intorno agli anni Novanta, caratterizzate da bassa gradazione alcolica, colorazione artificiale e invitante, dal sapore dolce e gradevole. Praticamente un’aranciata corretta. Questi prodotti possono risultare particolarmente dannosi per i minori in quanto può non essere percepita la loro reale pericolosità, anche da parte degli stessi genitori, favorendone così un eccessivo consumo e di conseguenza più facilmente forme di abuso e di intossicazione acuta.

Un amico ambivalente

Se oggi dunque l’alcol non è più, o sempre meno, un complemento alimentare, allora che cos’è? E soprattutto che cosa rappresenta per un ragazzo o un adolescente che si accosta a questo tipo di consumo? L’alcol, incluse le sue deleterie mode, è forse soltanto uno dei metodi privilegiati per i giovani di stare insieme e costruire tra pari un processo identitario. Inoltre, grazie al marketing, la comunicazione, i media e i luoghi di aggregazione, è diventato un valore in sé, che riscontra anche successo, soprattutto perché a quell’età si è spesso più timidi. L’alcol, infatti, funzionerebbe come un “lubrificante sociale”, in grado di far perdere il controllo razionale, disinibire e mettere in condizione di affrontare con più disinvoltura le relazioni. Un aspetto, quest’ultimo, che riguarda una buona percentuale di ragazze la cui motivazione a bere risiede spesso nella ricerca di un rapporto migliore con gli altri. La funzione disinibente dell’alcol appare centrale per le interazioni tra i giovani. Nei sondaggi, il bere nella fase di preparazione della serata viene definito come “carburarsi”, “caricarsi” per le varie fasi del divertimento serale e notturno. Nei momenti di tristezza e di solitudine, d’altro canto, la risorsa relazionale del “bere insieme” viene considerata come uno strumento particolarmente importante per “superare la crisi”.

Alcol e pandemia

Significativa a tal proposito la dinamica che si è creata tra alcol e giovani durante la fase acuta della pandemia: si sarebbe portati a pensare che durante il lockdown il consumo di alcolici si sia ridotto, nella realtà dei fatti invece si è solo modificata la modalità di approvvigionamento. La capacità di acquisto anche online ha comportato, tra l’altro, un minor controllo sui divieti di vendita ai minori. L’isolamento forzato ha inoltre contribuito a determinare un aumento del consumo incontrollato per diverse ragioni di origine sociale (preoccupazione, ma anche partecipazione ad aperitivi online per mantenere una minima socialità).
Alla base di tutte queste narrazioni, ovviamente, c’è la considerazione che l’alcol indossa molte maschere e assolve a molti scopi, ma conduce in maniera sistematica ad abbassare la percezione delle insidie della realtà circostante. Gli alcolici cioè non solo provocano intossicazione neurologica, dipendenza e patologie epatiche, ma si accompagnano spesso e volentieri al fumo di sigaretta e al consumo di sostanze stupefacenti, a disturbi comportamentali, a scadenti performance scolastiche, a condotte sessuali azzardate e incidenti stradali. Ridurre tutti questi rischi attraverso un consumo consapevole dell’alcol è il risultato finale di un percorso “virtuoso” che comprende la qualità dell’informazione, le modalità di comunicazione, la capacità da parte di scuola e famiglia di suscitare interesse e curiosità nei giovani coinvolgendoli in una scelta partecipata e non imposta.