I fratelli di persone disabili conducono una vita familiare spesso in secondo piano, quasi invisibile. Del resto anche la ricerca psicosociale continua a trascurare queste figure. Eppure, quando i genitori vengono a mancare, i siblings si trovano catapultati in una situazione nuova, il cosiddetto “dopo di noi”, paradossalmente sempre presente ma anche inatteso per le gravose necessità da affrontare.

di Tony La Greca

“Sibling” è un termine inglese che significa fratello o sorella. Nonostante il termine indichi semplicemente questo tipo di parentela, nella letteratura medica e in psicologia viene usato per denotare i fratelli o le sorelle di soggetti con disabilità, fisica o psichica.
Non sorprende che sia impiegata un’espressione inglese: la valutazione degli effetti della presenza di bambini con disabilità sui fratelli sani costituisce un ramo di ricerca sviluppato principalmente negli Usa, dove peraltro l’interesse per il tema non ha mai preso più di tanto quota. In Europa il filone è poco esplorato. Certo, si celebra il 31 maggio la Giornata dedicata ai fratelli e sorelle delle persone con disabilità e nel tempo si è verificato anche qui in Italia un coinvolgimento crescente da parte di alcune prestigiose società scientifiche per dare risposte alle difficoltà che queste persone si trovano ad affrontare spesso sin da piccoli.

Crescere all’ombra di un fratello disabile

Eppure il vissuto psicologico ed emotivo dei siblings rimane ancora poco indagato. La sottorappresentazione, anche solo nello storytelling letterario o cinematografico, e le esigue attività di informazione su ampia scala riflettono in qualche modo la condizione di invisibilità che i siblings, in quanto soggetti sani, sperimentano già all’interno della propria famiglia. Spesso infatti i loro bisogni di accudimento e di sostegno rimangono in secondo piano o sono disconosciuti dai genitori, presi dalla necessità di far fronte ai bisogni del figlio più vulnerabile.
In diverse indagini realizzate con interviste semistrutturate, e per lo più di marca anglosassone, i siblings adolescenti hanno riferito una ridotta attenzione da parte dei genitori e la sensazione di essere lasciati in disparte: la convinzione di essere tagliati fuori dalla vita familiare deriva principalmente dal fatto che i partecipanti vedono la madre e il padre prendersi cura del fratello malato, mentre loro non sono autorizzati a farlo. E qui subentra l’altra importante costante individuata dalle ricerche sulla condizione dei siblings, cioè la loro ambivalenza rispetto alla partecipazione alle cure e la confusione di ruolo all’interno della famiglia. A ciò sarebbe legata inoltre la paura per l’esito della malattia/disabilità, ma anche la preoccupazione per il proprio futuro e per quello del fratello.

Quale aiuto per i siblings adolescenti?

Sicuramente non è possibile stabilire a priori se vivere una relazione fraterna con una persona con disabilità rappresenti per il sibling un elemento di rischio o, invece, un fattore in grado di potenziarne la crescita psicologica, la capacità adattiva, l’empatia e l’attitudine a prendersi cura dell’altro. Le prime ricerche avviate in questo campo hanno utilizzato un fallimentare approccio quantitativo, avvalendosi di strumenti standardizzati e giungendo quasi subito a risultati inconcludenti rispetto agli effetti dell’essere un sibling. Di fatto si arrivava semplicemente a individuare i “siblings medi”, una sorta di creazione statistica.
Oggi gli strumenti sono cambiati e si predilige un’esplorazione realizzata tramite colloqui e interviste. Tale raccolta di esperienze individuali ha permesso di modificare nel tempo il costrutto indagato e di concentrarsi maggiormente sulla dimensione della fraternità piuttosto che su quella della patologia.
Un contributo davvero decisivo per lo “studio” dei siblings e dei loro bisogni è arrivato dai “sibshops”, crasi delle due parole sibling e workshop. Il sibshop è un programma, basato sull’incontro e il confronto tra i siblings in età evolutiva che, in un contesto ludico e informale, possono condividere le proprie esperienze familiari e mettere a fuoco strategie per il superamento dei problemi comuni.
Arrivato per la prima volta in Italia nel 2013 a opera del suo fondatore, l’americano Don Meyer, questo modello ha consentito di isolare alcune caratteristiche ricorrenti tra molti fratelli delle persone disabili: maturità, consapevolezza di sé e competenza sociale, introspezione, tolleranza, orgoglio, lealtà. Ma anche altrettanti aspetti problematici: imbarazzo, senso di colpa, isolamento, solitudine e perdita, risentimento, accresciute responsabilità e pressione ad avere successo.
In definitiva gli sibshops rappresentano opportunità per ottenere informazioni e sostegno: concretamente questi incontri durano circa mezza giornata, hanno un conduttore e diversi facilitatori che aiutano la gestione del gruppo e sono dedicati ai siblings tra gli 8 e i 12 anni, periodo in cui i ragazzi hanno competenze sufficienti per stare in gruppo, eseguire compiti e giochi che richiedano capacità di lettura e comprensione. Un’età inoltre in cui il confronto con i coetanei inizia a sollevare interrogativi riguardanti la disabilità del fratello.

Fratelli che si prendono cura dei fratelli

Alla base del modello dei sibshop c’è il “Family Centered Care”, cioè quella pratica che riconosce la centralità della famiglia nella vita del bambino con problemi di disabilità. Una pratica che vede l’inclusione e il coinvolgimento di tutti i membri familiari nel piano assistenziale. E qui torniamo a un dilemma esplicitato nelle interviste dai siblings adolescenti di cui parlavamo più sopra. Ovvero il desiderio di contribuire, da una parte, all’accudimento del fratello disabile e, dall’altra, la preoccupazione/paura di diventare gli unici dispensatori di cure quando i genitori non potranno più farlo. Un’ansia umana e comprensibilissima che però fatica a divenire oggetto di indagine specialistica.

Siblings

Ancora di recente, negli studi sull’assistenza familiare, i fratelli sono trattati genericamente come “altri” caregivers, quando invece sarebbe importante analizzare i caregivers fratelli come un gruppo distinto, poiché è probabile che svolgano un ruolo di assistenza più ampio in futuro, date due tendenze della popolazione: la maggiore longevità degli individui con disabilità che ora spesso sopravvivono ai loro genitori ma hanno bisogni di cura per tutta la vita; e i cambiamenti nei modelli coniugali, con tassi più elevati di divorzio e meno matrimoni rispetto alle coorti di ricerca del passato.

Siblings come caregivers: una marcia in più?

La letteratura scientifica americana suggerisce che il caregiving può essere meno gravoso per i caregivers fratelli rispetto ai caregivers genitoriali. La minore probabilità che i fratelli e le sorelle caregivers coabitino con i destinatari delle cure, e siano quindi meno esposti ai problemi di comportamento giudicati solitamente stressanti, può spiegare in parte il loro migliore benessere. Inoltre i fratelli e le sorelle sentono di avere una maggiore possibilità di scelta nell’assumere il ruolo di caregiver rispetto ai genitori: di conseguenza il caregiving avrebbe meno probabilità di erodere sentimenti di padronanza e autodeterminazione.
Di contro ci sono diverse ragioni teoriche per ipotizzare che i fratelli possano anche provare un notevole disagio nel ruolo di caregiver. In primo luogo, entro la mezza età, è probabile che i fratelli abbiano importanti responsabilità professionali e familiari e quindi tutti gli obblighi aggiuntivi per fornire assistenza al fratello o alla sorella possono essere fisicamente, emotivamente e finanziariamente scoraggianti e opprimenti.
In secondo luogo, le ricerche americane sul tema sottolineano che gli eventi della vita “non normativi” sono più stressanti di quelli “normativi”. E, nella nostra società, prendersi cura di un coniuge, figlio o genitore che invecchia è decisamente un ruolo più normativo rispetto alla cura di un fratello.
In terzo luogo i professionisti e gli operatori sanitari tendono a non coinvolgere i fratelli perché, in parte, non c’è la stessa aspettativa che questi assumano un ruolo attivo di cura, di caregiving primario. Quindi, rispetto ad altri caregiver, i fratelli possono sperimentare fattori di segno opposto, alcuni dei quali abbassano il loro livello di carico (come per esempio vivere lontano dal destinatario della cura) e altri che invece lo aumentano (ad esempio, assumere un ruolo non normativo o ricevere un minor riconoscimento e supporto dal sistema sociosanitario).

Più sostegno per siblings adulti

Come abbiamo detto, però, diverse tendenze fanno intuire che l’assistenza tra fratelli potrebbe diventare centrale in futuro. Anzi, il ruolo dei fratelli potrà anche diventare prevalente con l’aumento dell’aspettativa di vita delle persone con disabilità e non è improbabile che un numero crescente di fratelli si assumerà le responsabilità di badante quando i loro genitori anziani non saranno più in grado di continuare in questo compito. Pertanto comprendere il costo per i fratelli nell’assumere il ruolo di caregivers avrà una rilevanza sempre maggiore per la salute e il welfare pubblici.
Dunque la dimensione della cura è un elemento costante del rapporto fraterno, ma assume una specifica rilevanza in età adulta, rendendo necessaria la realizzazione di un progetto di vita che bilanci le esigenze del fratello disabile con i bisogni della propria famiglia.
Quello del “dopo di noi” è per i genitori un tema difficile e delicatissimo, ma va affrontato nel “durante noi” coinvolgendo gli altri membri del nucleo famigliare e, segnatamente, i fratelli e le sorelle della persona disabile. Alla luce di queste considerazioni, la condizione di fratello o sorella di persona con disabilità andrebbe indagata a fondo e supportata anche predisponendo, come già avviene con i workshops per adolescenti, percorsi di sostegno verso un target adulto.
A onor del vero qualcosa è già stato fatto, anche qui in Italia. Il riferimento metodologico è proprio quello dei workshops di Don Meyer. E i temi trattati sono squisitamente legati al “dopo di noi”: “Che cosa succederà quando i miei genitori non ci saranno più?”, “Dovrò occuparmi di mio fratello/sorella?”, “Chi provvederà alle questioni finanziarie e agli aspetti sanitari?”, “Ce la farà mio fratello/sorella ad avere un lavoro?”, “Troverò una compagna/compagno che accetti mio fratello?” e “Avrò dei figli?”.

Gestire il “dopo di noi”

Oltre a favorire l’aggregazione, il confronto e lo scambio tra siblings, questi workshop hanno anche un forte scopo preventivo in quanto permettono di monitorare nel tempo l’evoluzione familiare e di facilitare il coordinamento tra gli operatori. Non sono mancate, sempre in Italia, indagini quali-quantitative su panel più o meno ampi di popolazione sibling. Gli item toccati da queste indagini puntano a misurare la conoscenza presso i siblings adulti dei servizi sociosanitari territoriali di supporto e accompagnamento durante il corso di vita del fratello disabile e il ruolo dell’associazionismo. Da queste e altre indagini, ma soprattutto dagli incontri di workshop, emerge però invariabilmente un dato: c’è una forte domanda di servizi sociali e sanitari ancora inespressa, almeno finché i siblings non troveranno voce.