Il fenomeno del consumo di alcol tra gli adolescenti non può prescindere dal contesto discorsivo in cui tutto avviene, laddove l’“andare contro” il mondo degli adulti è stato oggi sostituito dalla logica consumistica dell’“andare oltre”.
di Antonello Raciti
Il tema dell’abuso di alcol tra i giovani è sempre più spesso all’ordine del giorno con tristi fatti di cronaca, inchieste giornalistiche e tante statistiche. L’ultimo studio epidemiologico in ordine di tempo è quello documentato nel Libro bianco del ministero della Salute che mostra un crescente consumo di alcol tra la popolazione dei minorenni, in special modo tra le ragazze. La cosa preoccupa molto gli operatori del settore anche perché la riprovazione sociale che colpisce l’alcolista donna, specie se giovane, fa sì che ci sia una forte componente di sommerso che non emerge mai. Dunque i dati, già piuttosto inquietanti, sono ampiamente sottostimati.
Ma davvero ci troviamo di fronte a un fenomeno nuovo? E come andrebbe affrontato diversamente dal passato? Ne parliamo con Sergio Caretto, psicoterapeuta e psicoanalista, membro della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi e dell’Associazione Mondiale di Psicoanalisi, nonché docente dell’Ipol, l’istituto psicoanalitico di orientamento lacaniano.
L’allarme alcol è periodico, e questa volta tocca la popolazione delle adolescenti. A suo parere, che cosa spinge questi comportamenti di consumo?
«Che il consumo di alcool negli ultimi anni sia andato aumentando in modo esponenziale nella popolazione giovanile è un dato di fatto sotto gli occhi di tutti, oltre che confermato dai dati delle ricerche del ministero della Salute. Basta andare in piazza alla sera per incontrare frotte di giovani e giovanissimi col bicchiere o la bottiglia in mano. L’oggetto alcool rientra ormai in quello che viene definito un uso ricreativo abituale tra i giovani, non più solamente circoscritto e associato ai momenti di festa o al fine settimana. La bottiglia, che un tempo veniva sottratta furtivamente da casa per appartarsi con gli amici e dar luogo al rituale tanto atteso, oggi compare sempre più sulla scena pubblica e alla luce del giorno. L’alcool, da oggetto nascosto e interdetto ai minori in quanto appannaggio degli adulti, si eleva ad oggetto esibito e disinibito, raramente associato a sensi di colpa o vergogna in colui o colei che lo detiene. In questo senso il consumo di alcool, anche laddove venga associato al consumo di altre sostanze più o meno lecite, è nei giovani, di fatto, sempre meno sommerso e rientra più in generale in quella spinta maniacale indotta dalla società dei consumi. Che, per struttura, se ne fa un baffo del limite e delle differenze. Un discorso a parte va invece fatto là dove l’uso di alcool vira verso l’abuso e lo sviluppo di vere e proprie forme di dipendenza, in cui la dimensione ricreativa tende a essere sostituita da quella più depressiva, ripetitiva e distruttiva, associata piuttosto a vissuti di isolamento e abbandono. Vissuti che certamente la recente situazione pandemica ha fatto crescere in modo esponenziale. Come si può notare, al momento, non ho connotato un uso al femminile dell’alcool rispetto a quello maschile».
Le ragazze, al pari dei coetanei maschi, usano l’alcol per disinibirsi emotivamente, per vincere la timidezza e per il terrore di non piacere agli altri. Ma questo succedeva anche in passato. Perché questo fenomeno esplode oggi?
«Condivido il progressivo assottigliarsi della differenza tra maschi e femmine nel consumo di alcool, oggi improntato primariamente, in entrambe i generi, alla ricerca dell’effetto disinibente e “prestazionale” che fino a ieri caratterizzava maggiormente l’universo cosiddetto maschile. Più in generale oggi, nell’epoca della “modernità liquida” per dirla con Bauman, la stessa ripartizione dei sessi secondo una logica binaria in maschi e femmine, è di fatto messa radicalmente in discussione aprendo a una molteplicità di possibili identificazioni sessuali potenzialmente infinite, ben rappresentata dall’universo Lgbtqia+. Il ritorno raccapricciante di spinte fondamentaliste e di forme di patriarcato che vorrebbero mettere un bavaglio alle donne e alla loro libertà di espressione, non arresteranno di certo questa spinta viva, propulsiva e inventiva del femminile che attraversa le nostre società oggi, a testimonianza del fatto che il femminile è propriamente quel che più sfugge e contrasta una logica identitaria “forte” sempre a rischio di segregazione».
«Ebbene l’interpretazione del fenomeno di consumo di alcol nell’adolescente maschio o femmina non può prescindere dal contesto discorsivo in cui viviamo. Se per lungo tempo il consumo di alcool e di droghe in contesto giovanile è stato interpretato all’insegna della trasgressione, di un “andare contro” il mondo degli adulti, oggi direi che si colloca piuttosto nella logica dell’“andare oltre”. In questo “andare oltre” viene meno la differenza tra maschile e femminile a favore piuttosto di una certa indifferenziazione anche identitaria e sessuale, spinta che ben si accorda con una società che tende a ridurre l’uomo a mero consumatore. Il consumo di alcool tra i giovani e giovanissimi va letto nella logica che permea la società contemporanea, ben riassunta in alcuni slogan pubblicitari come il “Vivere senza confini” o “Nothing is impossible” recitato da Nike. Se nella logica dell’“andare contro” l’altro aveva un posto ed era, pur in una logica conflittuale, riconosciuto e cercato per differenziarsene, nell’“andare oltre” l’altro proprio non esiste, è saltato a piè pari prima, durante e dopo il consumo. Il giovane consumatore oggi appare sempre più nelle vesti del piccolo chimico che ha un sapere preciso sugli effetti delle diverse sostanze e su come abbinarle, per rendere il più possibile compatibile l’uso delle stesse con lo studio, il lavoro, la famiglia. Se è vero che anche per le donne oggi il consumo di alcool si lega sempre più alla prestazione come accade nei coetanei maschi, occorre però precisare che questa “prestazione” è di fatto sempre più svicolata da modelli ideali di maschio Alpha e riconducibile invece al modello di funzionamento della macchina, di un corpo/macchina».
Crede che tra le cause ci sia anche la facilità con cui è possibile reperire alcolici a buon mercato in qualsiasi angolo di città e soprattutto il mancato rispetto della legge che vieta la vendita di bevande alcoliche ai minorenni?
«No, non è tanto la facilità di accesso all’alcool a favorirne il suo uso e abuso da parte dei giovani, bensì l’affermarsi a livello del discorso sociale di questa spinta all’eccesso e al senza limite, e l’allentarsi dei legami “d’amore”. Il proibizionismo già in passato si è dimostrato fallimentare nel tentativo di scoraggiare i giovani e i meno giovani dall’uso eccessivo di alcool o di droghe più o meno leggere. Tanto di più nella logica dell’“andare oltre” che sostiene oggi il consumo di alcool, non è con l’inasprimento della legge che va affrontato il problema, come una certa destra vorrebbe farci credere, a dispetto di ogni esperienza pratica e a dispetto della cosiddetta evidenza scientifica».
Come riuscire a intercettare l’attenzione dei minori riuscendo anche a essere credibili? Insomma, come spiegare ai ragazzi il senso del limite senza essere per forza paternalistici e, soprattutto, senza cadere nel proibizionismo?
«Bella sfida: intercettare l’attenzione dei minori nell’epoca in cui le diagnosi di deficit dell’attenzione sono allo Zenit. Di certo la girandola di oggetti di consumo che offrono illusioni di felicità a buon mercato non aiuta a favorire il senso del limite ma piuttosto a perderlo. L’adulto è credibile là dove egli stesso testimonia coerentemente di non arretrare di fronte alle difficoltà e all’impossibile che incontra nella propria vita. Come ricorda lo psicoanalista francese Jacques Lacan nel Seminario VII L’etica della psicoanalisi, si tratta di non cedere sul proprio desiderio. Fare esistere il desiderio è forse una delle maggiori sfide a cui l’adulto è oggi chiamato, in quanto il desiderio è fondamentalmente mancanza, esperienza del limite e, al contempo, forza propulsiva vitale che chiama in causa il rapporto con l’alterità. Il desiderio in questo senso è contagioso e tiene vivo l’amore, il solo che può fare obiezione all’isolamento, alla segregazione e al cinismo contemporanei. Solo nel legame di parola tra l’uno e l’altro si può fare esperienza del limite e accogliere che non tutto è possibile, che vi è dell’impossibile col quale occorre fare i conti, impossibile che è propriamente quel che più ci umanizza e ci differenzia. Si tratta forse di ritrovare il valore affettivo dello stare in compagnia, più ancora che ricercare l’intensità di emozioni del corpo che possono essere provocate dal consumo degli oggetti più disparati. Questo vale indipendentemente dall’età, per i giovani non meno che per gli adulti. A questo punto non è certo un bicchiere di vino in compagnia a fare dell’una o dell’altro un alcolista».